L’interrogativo che fa da titolo all’intervento di mons. Giacomo Canobbio,
docente di Teologia dogmatica alla Facoltà teologica di Milano,
esprime l’esiguo interesse che teologia e predicazione hanno dedicato
in questi ultimi tempi al tema del purgatorio e in genere alle
‘cose ultime’. Lo studio che qui presentiamo risponde quindi all’esigenza
di precisare ‘cosa resta’ di una dottrina che ha occupato non
poco teologia e pratica religiosa dei secoli scorsi. L’Autore anzitutto
la colloca sullo sfondo della dottrina del sacramento della penitenza,
sganciandola quindi dalla dottrina escatologica, operazione che permette
di intenderla principalmente come condizione di faticosa penitenza
in vista della beatitudine compiuta. Si tratta di una situazione
di passività, poiché dopo la morte la libertà umana non è più in gioco
e con essa cessa la possibilità di acquisire meriti: il processo di purificazione
è solo opera di Dio, al quale si associa la Chiesa che interviene
con la sua preghiera di suffragio. Così inteso, il Purgatorio
può essere visto quale «processo trasfigurante nel quale l’amore di
Dio in Cristo dispone all’incontro beatificante con Lui. Siccome poi
nessuno è “in Cristo” da solo,ma grazie alla Chiesa e nella Chiesa, la
dottrina sul purgatorio si configura come un paragrafo della ecclesiologia
e della teologia sacramentaria».
Difficoltà ad accedere a un lavoro che non sia precario, alla casa, crescente
innalzamento dell’età d’ingresso nella vita adulta e nella stabilizzazione
dei rapporti affettivi: i giovani vedono il proprio futuro
con sempre maggiore incertezza. Luciano Manicardi, monaco di Bose,
si lascia interrogare, ben oltre le questioni congiunturali, dal senso
profondo della difficoltà che segna il rapporto dei giovani col futuro,
esplorandone la poco frequentata dimensione interiore. L’idea
di fondo è che «il futuro di cui siamo alla ricerca forse non è neanche
così lontano da noi: il futuro è potenzialità nei giovani ed è responsabilità
negli adulti». Questa prossimità richiede atteggiamenti
che giovani e adulti sono chiamati a coltivare in vista di un’alleanza
che apra alla speranza. Ciascuno per la sua parte: i giovani andrebbero
incoraggiati a credere che il futuro che ricercano «giace nell’interiorità,
è a portata di mano se solo si osa l’avventura della vita
interiore, della conoscenza di sé, e dunque dell’educazione, del primato
accordato ai valori umani».Agli adulti invece va ricordato che
declinare il futuro significa anzitutto assumersi la responsabilità per
la cura del futuro degli altri, coltivare capacità di ascolto, dare fiducia,
saper promettere.
Don Bruno Bignami, sacerdote diocesano di Cremona e docente di
Teologia morale presso lo Studio Teologico Interdiocesano e l’ISSR
di Crema-Cremona-Lodi-Vigevano, conclude qui il suo ampio studio
presentando i principali interventi del magistero ecclesiale che valorizzano
il significato sociale e religioso-simbolico dell’acqua. Il recupero
di questa dimensione, che interpreta l’acqua come bene eccedente
la semplice dimensione economica, rappresenta infatti il
presupposto per un’adeguata impostazione dei relativi problemi etici.
Don Bignami mostra come su questo tema si evidenzi chiaramente
la contrapposizione di fondo tra due modelli di sviluppo,
«quello che misura tutto in termini di profitto e quello di chi sa leggere
in profondità la dimensione spirituale del vivere umano» e dei
beni che le sono necessari. La visione cristiana del mondo porta così
a considerare l’acqua un bene pubblico, di cui tutti hanno il diritto
di godere: «Considerarla una merce come altri beni per creare
profitti e per facilitare esclusioni rappresenta un tradimento del
progetto di Dio».
Pubblichiamo l’intervento di mons. Franco Giulio Brambilla, vicario
per la cultura e l’ecumenismo della Diocesi di Milano, pronunciato
alla tavola rotonda tenutasi lo scorso gennaio sul tema A 101 anni
da Edimburgo: Ecumene e Missione. L’incontro si proponeva di fare il
punto su un secolo di faticosi passi compiuti dalle Chiese cristiane
europee verso la reciproca accoglienza, ma intendeva anche testimoniare
i traguardi raggiunti e la comune speranza di farsi, insieme,
testimoni fedeli dell’annuncio evangelico in un tempo in cui la missione
evangelizzatrice è di nuovo pressante soprattutto in Europa.
La sfida ecumenica per tutti i credenti, soprattutto nell’attuale contesto
di concorrenza delle religioni, può essere riassunta secondo
l’Autore come il passaggio «dalla testimonianza comune alla conversione
al Dio vivo e vero, al Dio dell’evangelo di Gesù, a cui la
Chiesa/le Chiese devono essere totalmente relative e dedicate».
L’intervento del prof. Luigi Pizzolato, docente di Letteratura cristiana
antica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, propone alcune
riflessioni sul tema familiare che a volte trovano poca risonanza.
Infatti molti rivendicano giustamente dallo Stato una serie di attenzioni
volte a tutelare la possibilità di un sano sviluppo della
famiglia; meno energie vengono invece profuse nel sottolineare quei
doveri di apertura e di cura sociale che pur appartengono a una visione
personalistica della famiglia: la società civile, afferma l’Autore,
può infatti essere intesa come la «dilatazione, per cerchi sempre più
ampi ma concentrici, del rapporto d’amore che parte idealmente dalla
famiglia e dalla sua origine amorosa tra uomo e donna». Invece oggi
il ruolo civile della famiglia rischia di appannarsi fino a scomparire,
riducendo la propria funzione a una cellula affettiva di compensazione
e di rifugio. Si dovrebbe invece ricordare che «il senso della famiglia
è altra cosa dal familismo, che commisura i valori propri all’interesse
della stirpe e non mette la stirpe alla prova sui valori di servizio
di costruzione della vita comune di tutti».