Il contributo di don Ugo Lorenzi – docente di catechetica alla Facoltà
Teologica dell’Italia settentrionale e al seminario di Milano –
costituisce la seconda tappa di una riflessione di ampio respiro sull’attuale
riforma dell’iniziazione cristiana dei ragazzi. Il primo articolo,
apparso sullo scorso numero della rivista, presentava le motivazioni
e i punti nodali del cambiamento proposto, per poi passare al
vaglio le implicazioni della eventuale scelta di celebrare insieme i sacramenti
della Confermazione e dell’Eucaristia. Questa seconda
parte prosegue nella direzione di un approccio multidisciplinare, interrogando
la storia per comprendere e valutare i motivi dello scorporo
dei sacramenti, e la teologia sacramentaria che sta alla base
della richiesta di unificare la celebrazione di Confermazione ed Eucaristia.
L’Autore sostiene l’idea che la riscoperta dell’unità dei sacramenti
dell’iniziazione cristiana non comporti necessariamente la
loro celebrazione unitaria. La decisione sulla sua introduzione o meno
non può quindi essere svincolata da tre tipi di cambiamenti correlati
– questi sì decisivi per la futura iniziazione cristiana – enunciati
nell’ultima parte del contributo e sviluppati in un prossimo terzo e
ultimo intervento, di carattere interamente propositivo.
Questo bel saggio di teologia biblica di don Roberto Vignolo, docente
di Esegesi e Teologia biblica alla Facoltà teologica di Milano, ha
come tema la preghiera e in particolare la sua forma più alta, l’invocazione
del nome di Dio. Il saggio è costruito come un dittico, che
approfondisce due brani veterotestamentari di grande densità spirituale,
capaci di illuminare da diverse angolature il nostro tema, che
prende rilievo singolare sullo sfondo della preghiera salmica ebraica
e della sua capacità di mostrare una profondissima visione dell’uomo.
L’intero Antico Testamento permette infatti di riscoprire l’inesauribile
carica spirituale contenuta nell’esperienza originaria della
preghiera. È ciò che avviene accostando i salmi, radicati in un’esperienza
vitale, in un volere la vita, che è al tempo stesso presupposto
e punto di arrivo di ogni vera preghiera. Pubblichiamo qui la prima
parte dello studio, che mostra come il Sal 30 possa rivelare all’orante
il senso globale della vita come una grande lode a Dio: «Questa
è la grandezza della preghiera dei salmi, che in Gesù diventano
compiuta preghiera filiale: in essa la vita, con i suoi poli contrastanti,
circola per unificarsi nell’unica grande invocazione del nome di Dio,
in uno slancio filiale incontro al Padre, nello spirito di Gesù Cristo».
Seguirà sul prossimo numero l’analisi di 2Sam 1-2, la storia di Anna,
che mostrerà le grandi potenzialità della preghiera nei processi di
trasformazione degli affetti.
Da tempo Benedetto XVI ha invitato i cattolici a prendersi a cuore
le persone che a diverso titolo si dichiarano non credenti. Molte sono
le ragioni di questo appello, e molte anche le difficoltà nel rendere
comprensibile e desiderabile un moderno ‘cortile dei gentili’,
luogo di aperto dialogo e spassionata ricerca sulle questioni ultime
che, anche nel nostro tempo, non cessano di inquietare le coscienze.
Don Armando Matteo, già assistente nazionale della FUCI e teologo,
fa proprio l’invito del Papa analizzando alcuni tratti che segnano
la ricerca di Dio dei nostri contemporanei, condizione prima per
un autentico contatto. Essa appare profondamente segnata dalla
condizione di precarietà: «Dio è ricercato da un uomo sempre più
spaesato rispetto a quello sconfinamento delle possibilità offerte alla
sua libertà dalla tecnica». In questo contesto la Chiesa è interpellata
a offrire occasioni elementari di preghiera, occasioni nelle quali
ogni uomo possa ritornare sulla verità del proprio essere e agire e
fare esperienza con l'esperienza, ma anche a ridurre l'‘ispessimento’
della propria mediazione del divino che va a tutto obiettivo svantaggio
della funzione stessa della mediazione: permettere che Dio si
faccia presente a chiunque lo cerchi.
Cosa mi chiede il malato psichico? Cosa posso fare realmente per lui?
Queste domande interrogano in modo diretto sacerdoti e operatori
pastorali che sempre più spesso si trovano interpellati dalla realtà del
disagio mentale. Don Donato Pavone, sacerdote della Diocesi di Treviso,
dove è delegato per la formazione permanente del clero e docente
di Psicologia e antropologia filosofica presso l’ITA e l’ISSR, affronta con
realismo il problema, a partire da una chiara lettura del suo significato
spirituale: l’accoglienza di questa sofferenza nella comunità cristiana rappresenta
un’occasione di crescita sia nella carità sia nel lasciarsi evangelizzare
dal mistero del dolore dei suoi figli psicologicamente sofferenti.
Accoglienza che significa anzitutto farsi prossimi senza condizioni
e senza induzioni di colpa, ma anche combattere l’atteggiamento giudicante
e discriminatorio che ha messo radici profonde pure tra i cristiani,
favorendo così il desiderio di queste persone di essere aiutate a uscire
dalla condizione di emarginazione e solitudine. La presenza dei malati
mentali nelle comunità può così disegnare per la Chiesa un itinerario di
conversione, facendo crescere la consapevolezza che costoro non sono
solo i destinatari di un’intelligente e generosa prassi pastorale ma
che, anche per mezzo di loro, «Dio sta edificando la sua Chiesa, educando
i suoi preti, evangelizzando il mondo».