L’assetto dell’insegnamento della religione cattolica in Italia ha conosciuto una significativa evoluzione dai Patti lateranensi del 1929 alla loro revisione nel Concordato del 1984 in considerazione dei profondi mutamenti culturali ed ecclesiali registrati in quei decenni. Mons. Derio Olivero, vescovo di Pinerolo e presidente della Commissione Episcopale per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso, si chiede se i nuovi scenari sociali e religiosi maturati negli ultimi quaranta anni non giustifichino un ulteriore, profondo, coraggioso ripensamento in direzione di un insegnamento della religione in chiave interreligiosa. Preso atto della nuova situazione di pluralismo religioso e della ‘fine della cristianità’, anche il ruolo della religione, e quindi della sua presenza nella scuola, è chiamato a ripensarsi e proporsi come «luogo dove le religioni sono riconosciute, dove il fenomeno religioso non viene taciuto, ma conosciuto e accolto come fattore capace di generare umanità e di costruire legami fraterni. Nello stesso tempo un luogo non delegato a “qualcuno”, ma assunto dallo stato e dalle religioni, senza concorrenza e senza paura di invasioni di campo, nel rispetto delle tradizioni».
L’attuale XIX legislatura della Repubblica Italiana si sta caratterizzando, tra molti aspetti, per la proposta di una serie di progetti in vista di riforme istituzionali, fra le quali la più nota e discussa investe un disegno di modifica della Costituzione. Filippo Pizzolato, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico all’Università degli studi di Padova e docente di Dottrina dello stato all’Università Cattolica di Milano, interviene sul tema, anzitutto precisando il senso fondamentale del patto costituente quale strumento di «riconoscimento e di protezione delle espressioni plurali e differenziate del popolo sovrano». Conseguentemente discute la reale coerenza delle proposte sul campo nel quadro di questo orizzonte politico, per suggerire infine alcuni criteri per una fedeltà alla comune eredità democratica e popolare in continuità con l’attuale ispirazione costituzionale.
Emanuela Vinai è coordinatrice per la CEI del Servizio nazionale per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. Le abbiamo chiesto, in virtù del suo ruolo istituzionale, di descrivere la posizione e l’impegno della Chiesa italiana nel contrasto e nella prevenzione del fenomeno degli abusi. La sua dettagliata nota riassume puntualmente quanto il Servizio che rappresenta ha realizzato nell’ultimo quinquennio, a partire dallo spartiacque segnato dall’approvazione delle Linee Guida del 2019, fino alle più recenti Linee di azione (2022) e altre iniziative. «In sintesi, l’impegno della Chiesa che è in Italia e del Servizio nazionale per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili, è racchiuso in tre parole legate in un intreccio virtuoso: formazione, prevenzione, accompagnamento. Più si fa formazione, più aumenta la sensibilizzazione ed emergono casi di abuso, nuovi o antichi. Più si avviano processi e percorsi di prevenzione, che coinvolgono la comunità tutta, e più si aumenta la rete di protezione dei più vulnerabili. Più si sta accanto alle persone che hanno subito abusi e si accompagna la loro sofferenza in un cammino di guarigione fisica e psichica e più sarà possibile ricostruire la trama del tessuto sfilacciato della società».
Quest’anno la festa di conclusione del mese di Ramadan, il mese sacro del digiuno, della preghiera, della riflessione e della carità per i musulmani di tutto il mondo, è stata accompagnata dal clamore mediatico animatosi a seguito dalla decisione dell’Istituto comprensivo di Pioltello (MI) di interrompere per quel giorno le attività scolastiche. Milena Santerini, docente ordinario di Pedagogia presso l’Università Cattolica del S. Cuore di Milano, riprende l’episodio mostrando come esso sia sintomatico di diverse letture del fenomeno migratorio e dell’integrazione culturale presenti nella società italiana. L’autrice sostiene la necessità di superare un atteggiamento di «risentita tolleranza» avviandosi verso forme di dialogo interculturale e interreligioso, sottolineando come le Chiese locali e gli spazi oratoriani possano – come del resto stanno già facendo – giocare un ruolo prezioso in tale direzione: «L’oratorio diventa un luogo in cui i ragazzi crescono insieme e apprendono a capirsi e accettarsi. L’annuncio del Vangelo e l’insegnamento del Corano, posti in dialogo, possono essere concretizzati nell’esperienza di amicizia, collaborazione, impegno comune».
Nel quadro dell’ampio dibattito sulla ministerialità nella Chiesa, merita un’adeguata attenzione quella «forma stabile di vita cristologicamente informata» che è il matrimonio cristiano. P. Ugo Sartorio OFMConv., docente incaricato di Teologia sistematica presso la Facoltà teologica del Triveneto (PD), mostra in questo studio come la ministerialità coniugale, se intesa come metafora di comunione e di relazionalità generativa, sia in grado di dischiudere spazi di cristianesimo nel vissuto quotidiano di tutti. Il vangelo che la famiglia è naturalmente portata a vivere può diventare luogo di apertura all’universalità della fede evitando, almeno in prima istanza, la riduzione a ruoli di manovalanza e supplenza funzionale. In una situazione di carenza di clero ormai cronica il richiamo alla collaborazione in vista di una ministerialità mirata della coppia coniugale e della famiglia, e a sostegno della presenza della Chiesa sul territorio, si fa sempre più insistente e necessario. Consapevolezza guadagnata in tempi di pandemia, poi rapidamente archiviata: «eppure, la condizione di fine della cristianità di cui si parla ormai apertamente dovrebbe suggerire di considerare altre fi gure di Chiesa oltre alla parrocchia e all’assemblea cristiana domenicale».
Presentiamo qui la particolare declinazione di una forma dei gruppi di automutuoaiuto, pratica diffusa ma forse non adeguatamente valorizzata nella sua rilevanza etica e pastorale. Si tratta di un’esperienza che intercetta le forme del lutto e che, pur nella sua aconfessionalità, propone una forma di prossimità evangelica in uno dei luoghi del dolore che meno sono frequentati dalle attenzioni pastorali, tuttavia abitati da molte vite solitarie e talvolta disperate. I cammini di questi gruppi si rivelano quale risorsa preziosa e ‘popolare’ che con mezzi ‘poveri’ è in grado di favorire processi di elaborazione del lutto, di solidarietà nella sofferenza, di scambi empatici che realmente avviano alla ripresa di una vita differente e nuova. Ne parla qui, per la rubrica Esperienze pastorali, con competenza e passione il dott. Bruno Bodini, progettista e formatore sociale che, dopo un Master in Death Studies and End of Life presso l’Università di Padova, si occupa di finitudine.