L’ intervento del prof. Telmo Pievani (ordinario presso il Dipartimento di Biologia dell’Università degli studi di Padova dove ricopre la prima cattedra italiana di Filosofia delle Scienze Biologiche) affronta un tema molto dibattuto e di grande attualità, quello del diffondersi di una cultura antiscientifica, fenomeno purtroppo non riducibile alla mancanza di informazioni e quindi a ignoranza. Il proliferare di fake news e teorie cospirazioniste ha radici più profonde, si alimenta della sfiducia generalizzata nei confronti delle istituzioni, comprese quelle informative, ma anche del risentimento sociale, del disorientamento, dell’incertezza e della paura che i momenti di crisi già di per sé favoriscono, ponendo in serio pericolo il patto sociale. La rilevanza del fenomeno esige che sia preso in considerazione anche dalle comunità ecclesiali, concorrendo per la parte che loro spetta nel raccontare «la bellezza emancipatrice dei saperi rigorosi e del metodo scientifico, essendo trasparenti nel biasimarne le magagne (prime fra tutti, le intromissioni di interessi economici e geopolitici, nonché le finalità militari) ma appassionati nel difenderne la libertà e il valore sociale». Quando ci saremo lasciati alle spalle la pandemia – conclude l’autore – «capiremo che le due forze che ci hanno tratto in salvo sono proprio la democrazia della conoscenza, che ci dà gli strumenti per capire e decidere con saggezza, e la solidarietà umana che ci fa sentire tutti parte della stessa comunità di destino».
Dopo aver descritto nella prima parte dell’articolo la rimozione delle virtù dal pensiero e dal costume della nostra società, in questa seconda parte mons. Giuseppe Angelini (teologo morale, già preside della Facoltà teologica di Milano) ricostruisce la concezione neotestamentaria e cristiana di virtù, spingendosi poi a ripensare, alla luce di una lettura dei rapporti tra la morale cristiana della legge e quella pagana della virtù, l’idea stessa di soggetto e identità. L’autore propone la tesi che l’identità personale dipenda dalla determinazione spirituale del soggetto, cioè dal suo essere originariamente una coscienza credente capace di scegliere in forza della fede, e che questa sia l’autentica forma dell’agire adulto: «I l principio vale non soltanto per il cristiano, ma per ogni nato di donna: non si può realizzare la propria identità altrimenti che mediante le forme dell’agire effettivo. Tali forme d’altra parte assumono di necessità la forma di un atto di fede […]. I predicatori del vangelo hanno, tra gli altri compiti (e certo non l’ultimo), proprio questo, denunciare la rimozione del discorso sulla virtù nelle forme della vita comune e in tal modo restituire voce alla Parola che in quelle forme risuona indistinta e confusa».
La sinodalità è fra le principali caratteristiche dell’idea di Chiesa che papa Francesco cerca di promuovere. Ospitiamo a questo proposito l’intervento di Nathalie Becquart, religiosa saveriana, ecclesiologa, recentemente nominata sotto-segretaria del Segretariato Generale del Sinodo dei Vescovi, prima donna con diritto di voto nell’assemblea sinodale. La sua riflessione illustra le attitudini umane e spirituali necessarie a realizzare un’autentica pratica sinodale che, al di là della sua regolamentazione e strutturazione formale, rimane essenzialmente un processo: «La sinodalità non è una strada segnata in partenza. Richiede di aprirsi all’inatteso di Dio che, attraverso l’ascolto degli altri, giunge a toccarci, a scuoterci, a modificarci interiormente ». Essa non può prescindere da «pastori formati alla sinodalità che esercitano un nuovo stile di leadership – che possiamo caratterizzare come una leadership collaborativa –, non più verticale e clericale ma orizzontale e cooperativa».
La pausa delle attività oratoriane imposta dalla pandemia è occasione di riflessioni, e anche di sperimentazioni, che rilancino il dibattito sull’attitudine dell’oratorio a restare il luogo privilegiato in cui si esprime la cura pastorale della Chiesa per le nuove generazioni. Lo studio di don Paolo Carrara, presbitero della diocesi di Bergamo e docente di Teologia pastorale presso la Facoltà teologica di Milano, prende le mosse dalla fisionomia degli adolescenti attuali e da alcune recenti felici esperienze pastorali per proporre alcune «regole» utili nell’orientare la pastorale oratoriana. Esse ruotano attorno alla proposta di una tessitura «necessariamente irregolare» «tra ciò che concretamente l’adolescente vive e il cuore pulsante del Vangelo». In questo compito la comunità cristiana adulta rappresenta la spola della tessitura, aiutando gli adolescenti a far emergere quanto in loro è ancora spiritualmente abbozzato per intrecciarlo con il racconto vivo di Gesù. Essa riveste quindi un necessario ruolo di mediazione – come dimostrano le esperienze raccontate – che può essere accolto dagli adolescenti a patto che il tenore della proposta sia aderente alla vita.
Lo scorso 8 dicembre papa Francesco ha pubblicato la Lettera apostolica Patris corde, in occasione del 150° anniversario della dichiarazione di San Giuseppe quale patrono della Chiesa universale. Don Antonio Montanari, già docente di Teologia spirituale presso la Facoltà teologica di Milano, ne rilegge il testo valorizzando le numerose intuizioni che, con una saggezza che va al cuore delle questioni, illuminano un rinnovato sguardo sulla paternità sacerdotale in tempi certo non facili per l’assunzione di quella funzione. Francesco ne propone una visione dinamica: non si nasce padri o figli, «solo dentro un cammino di riconoscimento reciproco si può accedere alla grazia di un’autentica paternità e alla coscienza della propria condizione filiale. E ciò vale anche per quella speciale paternità che un prete è chiamato a incarnare nel suo ministero, la quale di fatto assume i tratti non scontati di un itinerario».
Con il Motu proprio Spiritus Domini del 20 gennaio 2021, papa Francesco ha soppresso la clausola che riservava agli uomini i ministeri istituiti del lettorato e dell’accolitato. Lo studio di Arnaud Join-Lambert e André Haquin, rispettivamente docente di Teologia pastorale e professore emerito di Teologia liturgica e sacramentaria presso l’Università Cattolica di Lovanio, inquadrano l’atteso provvedimento nella riforma postconciliare degli ordini minori per poi esaminare in dettaglio le opportunità offerte dalla decisione papale. Un rinvigorimento di tali ministeri non potrà che portare a svolgere il servizio della Parola di Dio oltre la celebrazione domenicale, diffondendolo in più campi d’azione. Così anche l’istituzione rituale al servizio dell’eucaristia potrebbe arricchire, oltre le celebrazioni domenicali, la preghiera delle comunità e dei gruppi. «Viviamo forse attualmente un kairos, un momento favorevole e importante, in cui possono convergere l’urgenza di responsabilizzazione e la scelta della prossimità con l’apertura dei ministeri istituiti a tutti i battezzati, uomini e donne. Prendere sul serio non soltanto il sacerdozio comune in generale, ma anche la vocazione battesimale di alcuni al servizio degli altri in una dimensione di prossimità, come lettore, lettrice o accolito, è una possibilità offerta alle nostre Chiese in crisi». L’articolo è stato pubblicato nella versione originaria francese sul n. 143 di «Nouvelle Revue Théologique» (aprile-giugno 2021), che ringraziamo per averne autorizzato questa traduzione italiana.