In concomitanza con l’avvio della fase diocesana del Sinodo italiano ospitiamo l’autorevole intervento del card. Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle cause dei Santi. Il suo ampio e puntuale saggio intende precisare il corretto approccio al tema della sinodalità – «la sinodalità è uno stile! Piaccia, o non, questo vuol dire che la sinodalità non comporta in primo luogo la convocazione di sinodi! » – alla luce del Concilio Vaticano II, del magistero di Francesco e del documento La sinodalità nella vita e nella missione nella Chiesa della Commissione Teologica Internazionale (2018). I punti fermi sopra desunti sono occasione di una interessante rilettura dei cammini percorsi dai Convegni ecclesiali nazionali dei quali è opportuno fare tesoro. Da essi si apprende a dare maggior forza e migliore equilibrio ai due ‘movimenti’ sinodali dell’ascolto (dal basso verso l’alto) e dell’intervento normativo (dall’alto verso il basso). «I Vescovi italiani – sottolinea l’Autore – concordano sul fatto che non ci si dovrà limitare a realizzare o celebrare un evento: si vuole, invece, compiere un vero e proprio cammino comunitario per ricollocare la comunità cristiana nel tempo presente. Ogni singola comunità diocesana sarà, quindi, impegnata ad ascoltare sé stessa e quanti potranno offrirle un contributo nel discernere la realtà in cui è immersa; più in profondità, si tratterà di cogliere cosa lo Spirito dice alle nostre Chiese.
«La singolarità dei santi che assumono rilievo esemplare – e insostituibile – per la Chiesa non sta nelle “forme”, ma piuttosto nelle ‘forze’ che essi immettono nel campo gravitazionale della comunità ecclesiale e umana: abitandola evangelicamente, più che pensandola teologicamente»: questa considerazione orienta l’illuminante rifl essione del noto teologo mons. Pierangelo Sequeri, che ritorna sulla figura di Charles de Foucauld ‘distillando’ le «forze» che hanno abitato la sua testimonianza e che si ripropongono quale luce di immutata attualità per la pastorale odierna. Abitare, adorare, fraternizzare sono i tre principali vettori che sintetizzano la forza del carisma ecclesiale di fratel Charles, che splende accanto – e persino oltre – alla grandezza della sua icona spirituale.
La relazione con lo straniero è un tema di crescente attualità. Esso è destinato a coinvolgere anche quelle poche comunità che per ora ne sono rimaste estranee. Don Matteo Crimella, docente di Esegesi del Nuovo Testamento presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale di Milano, con questo suo saggio introduce alla questione usando equilibrio e profondità, avvicinando con semplicità ed efficacia una categoria che, come un filo rosso, attraversa per intero il corpus biblico. Pubblichiamo qui la prima parte dell’articolo che, dopo una necessaria premessa terminologica, presenta alcuni episodi dell’Antico Testamento facendo emergere, dall’analisi del contesto e del genere letterario, il messaggio a proposito dello straniero. Sul prossimo numero verrà pubblicata la seconda parte, dedicata al Nuovo Testamento, che confermerà come in tutta la Scrittura si possa scorgere una chiara linea di continuità riguardo la ‘stranierità’ quale «dimensione essenziale della vita cristiana qui sulla terra, segno autentico di una tensione verso il mistero di Dio».
La crescente consapevolezza che le comunità cristiane debbano avviarsi verso forme di testimonianza più credibili e ispirate tangibilmente a uno stile evangelico, consiglia di porre un’attenzione specifica alla qualità delle relazioni che esse coltivano. La professoressa Elena Marta, docente di Psicologia sociale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, conduce qui a riflettere sull’universo relazionale, base del vivere dai molteplici risvolti che vanno riconosciuti e governati nei loro dinamismi, con specifico riferimento all’ambito comunitario. La riflessione suggerisce che, grazie a una migliore competenza relazionale, le comunità potrebbero accogliere in modo più cosciente e adeguato le molte persone che sono «desiderose di appartenere a comunità significative, sono alla ricerca di ideali e valori in cui credere e da testimoniare, come anche di maestri da seguire. A differenza del passato, però, non sono disposte ad abdicare a un ruolo attivo legato all’appartenere e al condividere, chiedono coerenza e condivisione ai maestri, un incontro autentico tra persone».
Mentre la stagione pandemica riconsegna lentamente alla normalità la vita ecclesiale, è di grande utilità riprendere alcuni dei nodi problematici che la situazione di eccezionalità ha posto in evidenza. Uno dei più significativi riguarda le celebrazioni eucaristiche in tempo di lockdown e in particolare le modalità di relazione fra presidenza liturgica e assemblea che esse hanno rappresentato. Serena Noceti, docente di Teologia sistematica presso l’ISSR di Firenze e la Facoltà teologica dell’Italia centrale, analizza senza troppe reticenze i fraintendimenti teologici soggiacenti ad alcune proposte liturgiche escogitate al fine di fronteggiare l’emergenza. Alcune interpretazioni del ruolo di chi presiede la comunità sono forse segno di una ancor approssimativa recezione della riforma liturgica proposta dal Concilio Vaticano II: «La presidenza è di chi presiede la comunità, cioè chi la custodisce nella sua radice apostolica e ne serve l’unità visibile; per questo non è, abitualmente, da porre in atto una celebrazione eucaristica che non sia “evento/actio di una assemblea celebrante con la presidenza di un ministro ordinato” […]. La presenza del popolo non è solo “auspicabile” […] ma è “necessaria”». Il testo qui riprodotto è tratto dagli Atti del Seminario La prese per mano e la rialzò tenutosi per iniziativa dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Toscana nel settembre 2020)1 e concesso dal curatore per la pubblicazione.