La virtù e le forme della vita buona. II. La prospettiva della fede
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Dopo aver descritto nella prima parte dell’articolo la rimozione delle virtù dal pensiero e dal costume della nostra società, in questa seconda parte mons. Giuseppe Angelini (teologo morale, già preside della Facoltà teologica di Milano)
ricostruisce la concezione neotestamentaria e cristiana di virtù, spingendosi poi a ripensare, alla luce di una lettura dei rapporti tra la morale cristiana della legge e quella pagana della virtù, l’idea stessa di soggetto e identità. L’autore propone la tesi che l’identità personale dipenda dalla determinazione spirituale del soggetto, cioè dal suo essere originariamente una coscienza credente capace di scegliere in forza della fede, e che questa sia l’autentica forma dell’agire adulto: «I l principio vale non soltanto per il cristiano, ma per ogni nato di donna: non si può realizzare la propria identità altrimenti che mediante le forme dell’agire effettivo. Tali forme d’altra parte assumono di necessità la forma di un atto di fede […]. I predicatori del vangelo hanno, tra gli altri compiti (e certo non l’ultimo), proprio questo, denunciare la rimozione del discorso sulla virtù nelle forme della vita comune e in tal modo restituire voce alla Parola che in quelle forme risuona indistinta e confusa». |