Pubblichiamo qui l’intervento che mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara, ha pronunciato nel corso della 74a Assemblea generale della CEI (24-27 maggio 2021) a introduzione della Carta d’intenti per il «Cammino sinodale», documento col quale i vescovi hanno dato avvio alla preparazione del Sinodo della Chiesa italiana. Il discorso è costruito a partire da un’interessante operazione ermeneutica sulle parole dedicate da Francesco al futuro Sinodo nel corso della recente udienza al Consiglio nazionale dell’Azione Cattolica Italiana (30 aprile), lettura che consente di puntualizzare con precisione le richieste e le attese del papa sulla Chiesa italiana. «Togliere dall’archivio», «non guardarsi allo specchio», «dal basso, dalbasso, dal basso» sono le tre espressioni che interpellano il cuore e l’intelligenza dei credenti, indicando con chiarezza la traccia «per un coraggioso salto di qualità delle Chiese italiane».
«Una buona domanda è spesso molto più utile di tante risposte»: l’affermazione, ricorrente in molti testi che si occupano di comunicazione, sembra sia stata condivisa ante litteram dagli autori sacri, che hanno disseminato migliaia di punti interrogativi nel testo biblico, sviluppando così una vera e propria «arte della domanda». Ludwig Monti, monaco della comunità ecumenica di Bose, studia il tema nel salterio, recensendone le principali domande e ordinandole attorno ad alcuni fondamentali nuclei esistenziali. Il tema viene poi sapientemente fatto lievitare dall’autore mostrando come il tenore spirituale ed esistenziale degli interrogativi proposti dagli oranti nei salmi trovi naturale eco e completamento nelle domande di Gesù, il cantator psalmorum per eccellenza.
Il contributo di don Duilio Albarello (presbitero della diocesi di Mondovì, docente di Teologia fondamentale presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale e direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose a Fossano) si inserisce nel dibattito sulle note distintive dell’identità presbiterale oggi. Lo studio prende in esame l’amplissimo magistero di Francesco sul tema, cercando di approfondire quella che l’autore ritrova come una «costante»: «lo stretto rapporto stabilito dal papa tra l’identità del ministero del presbitero e l’identità della comunità cristiana». La riflessione si sviluppa seguendo tale correlazione su due punti: lo stile testimoniale del presbitero in funzione di una Chiesa in uscita e la relazione presbiteri-laici, per chiudersi con un’interessante sottolineatura su competenza teologica e presidenza pastorale. La disamina conclude sintetizzando la figura presbiterale auspicata da Francesco nell’immagine di un uomo «“realista-testimoniale” […] che da una parte sappia riconoscere con realismo non solo gli inconvenienti, ma anche le buone possibilità che ogni epoca offre per l’annuncio e l’accoglienza del Vangelo. Dall’altra parte, che ricerchi e sia anche messo nelle condizioni di unificare la sua identità e il suo servizio attorno a quel compito della testimonianza, che deve contrassegnare una comunità ecclesiale».
La recente morte di Franco Battiato è stata accompagnata da un’enorme attenzione mediatica che, anche oltre l’amplificazione emotiva che solitamente connota questo genere di eventi, segnalava la statura di un autorevole interprete e ‘compagno di viaggio’ dell’inquieta condizione esistenziale dell’uomo postmoderno. Per questo è utile approfondire il pensiero ‘spirituale’ di un autore tanto ascoltato, e quindi – probabilmente – anche tanto influente nel proporre con vocabolario ‘religioso’ contenuti non allineati alla proposta delle tradizioni religiose consolidate. Alessandro Beltrami, giornalista e redattore di «Avvenire», offre su queste pagine un’attenta interpretazione e un’autorevole guida ai testi più noti e affascinanti del compositore siciliano dai quali estrapola il suo particolare approccio alla spiritualità, fra operazioni sincretiste, profonde intuizioni esistenziali e assenza di religio, insomma un «caso esemplare del fenomeno del ritorno del sacro nella società post-secolare».
La via estetica alla comprensione della rivelazione cristiana conosce autorevoli interpreti nella tradizione teologica e in questi ultimi anni si è decisamente diffusa, in sintonia con la grande rilevanza che l’attenzione al ‘bello’ ha acquisito nella cultura ambiente. Don Emanuele Campagnoli, docente di Filosofia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Crema-Cremona-Lodi, discute qui l’attitudine della via pulchritudinis a farsi via evangelizzatrice, puntualizzando le condizioni di un approccio al bello «in grado di far gioire gli occhi e il cuore a tal punto da risvegliare in noi la fede». Prendendo le mosse da una definizione di bellezza come «ciò la cui visione rallegra il cuore », l’Autore analizza la sua ‘ambigua’ disposizione ad affascinare e stupire, risolvibile nel privilegiare la prospettiva dello stupore, metafora della luce dello Spirito e quindi dell’amore, secondo le intuizioni della tradizione teologica del cristianesimo orientale: «La bellezza è allora la visione resa possibile dallo Spirito che ci porta a stupirci vedendo il mondo nella luce dell’origine, in quella luce che è Dio stesso, il suo amore auto-donantesi».
Con il contributo di mons. Giuseppe Cremascoli, presbitero della diocesi di Lodi, docente emerito di Letteratura latina medioevale presso l’Università di Bologna, si conclude la rassegna che la Rivista ha dedicato ai vizi capitali. Lo studio si segnala per l’ampio rimando alle testimonianze letterarie a proposito di avarizia e di figure di avari, dall’epoca antica fino a oggi, a conferma del carattere subdolo e pervasivo di un vizio che cresce lentamente fino a minare la struttura personale e distruggere i legami sociali. Un vizio che trova rimedio nel coltivare il senso di misura, un pensiero del limite che protegga contro l’orrore della dismisura, come già ammoniva la tradizione classica, ripresa e approfondita da quella patristica.