Lo spirito e le istanze del Concilio Vaticano II segnano variamente la vita delle nostre comunità cristiane. Alcune di esse fanno proprio il modello pastorale conciliare dandogli forma concreta ed eloquente nella quotidianità della loro prassi attraverso un modo coerente di celebrare la liturgia, esercitando con sapienza il ministero della Parola e vivendo la carità come esperienza fraterna di comunità e di dialogo costante con il territorio in cui si trovano. Christoph Theobald (gesuita, professore di Teologia fondamentale e dogmatica al Centre Sèvres di Parigi) delinea tale modello e stile conciliari in riferimento all’esperienza pastorale della parrocchia di Redona a Bergamo, luminoso esempio di recezione pratica del Concilio. Guida autorevole della comunità è stato per quasi tre decenni, fino alla sua scomparsa nel 2012, don Sergio Colombo (per diversi anni redattore della nostra Rivista), più volte rievocato con ammirazione in queste pagine. Il testo è tratto da una raccolta di saggi (L’umanità di Dio, EDB, Milano 2015), pubblicata in memoria di questo parroco speciale .
L’intensa riflessione di Silvia Landra (psichiatra, direttrice della Casa della Carità a Milano e presidente dell’Azione Cattolica ambrosiana) disegna con grande sensibilità e ricchezza descrittiva i contorni attuali di un’opera di misericordia – la visita dei malati – che è alla portata di ognuno nel quotidiano, ma spesso viene impedita da remore, imbarazzi e timori. La malattia è letta in queste pagine nei suoi diversi aspetti (emotivi, istituzionali, relazionali), anche nei luoghi e nelle situazioni a cui spesso non pensiamo, come il carcere o il disagio mentale. Ne emerge un quadro che ci interroga a proposito di noi stessi. Quest’opera di misericordia infatti diventa praticabile solo attivando un percorso di riscoperta di sé, «se ci si lascia scuotere interiormente anzitutto dalla fragilità che tutti noi portiamo dentro e che ci ricorda quanto sia illusorio pensare di avere potere sul corpo e sulla vita che ci sono dati». Nel contempo visitare gli ammalati è «un’opera grandiosa nella sua semplicità, valorizza le nostre risorse relazionali, si avvale della grande creatività umana», realizzandosi come una vera e propria arte dell’incontro imprevedibile con l’altro.
Lo splendido saggio biblico di mons. Roberto Vignolo, docente di Esegesi presso la Facoltà teologica di Milano, presenta la vicenda del profeta Giona attraverso la chiave di lettura della misericordia divina. L’autore infatti interpreta questo sapido racconto biblico alla luce del paziente tentativo che Dio fa di guarire Giona – terapia umida (il profeta inghiottito dal pesce), terapia secca (l’inaridimento della pianta di ricino) – per ridestare il profeta dalla sua indifferenza verso gli umani. La psiche risentita di Giona, uomo di Dio che però non sa consentire al desiderio del suo Signore, è così oggetto di un ‘astuto’ e ironico intervento perché finalmente si appassioni ai viventi. Il racconto si chiude lasciando il lettore nell’incertezza di un finale aperto, provocandolo a immaginare un futuro libero dal risentimento verso Dio, ritenuto troppo buono, e il prossimo, giudicato incapace di conversione.
La menzogna è un’insidiosa e potente forma di perversione dei legami, che, quantomeno nella forma della tentazione, non risparmia nessuno. Gesù stesso ne conosce la forza e in un suo detto ammonisce esplicitamente i discepoli, esortandoli alla vigilanza: «Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno» (Mt 5,37). Che la menzogna provenga dal Maligno ce lo illustra efficacemente Luciano Manicardi, monaco di Bose, ripercorrendo la vicenda del sedicente medico francese Jean-Claude Romand, magistralmente raccontata da Emmanuel Carrère nel suo fortunato romanzo L’Avversario. L’approccio narrativo rende con vividezza la drammatica parabola innescata dall’apparente banalità di una pur comprensibile falsità. Essa consegna il protagonista a una forza irresistibile che lo imprigionerà in un vortice narcisistico, espropriandolo della sua stessa vita e identità, fino a un esito tragicamente omicida. Sullo sfondo di questa vicenda estrema possiamo comprendere meglio le falsità che si insinuano nelle nostre vite ‘normali’, soprattutto nell’interiorità, con il loro carattere potenzialmente distruttivo. Siamo così portati a riflettere sulla dimensione di potere e piacere a cui la menzogna si accompagna nel ricreare la realtà e manipolare le persone: «L’uomo sente il proprio potere molto più mentendo che dicendo la verità, che attenendosi alla faticosa, opaca, grigia adesione e corrispondenza tra le parole e i fatti». Ma la verità, nella sua scomodità, impedisce di cadere nella rete dell’Avversario.
Psicologo e psicoterapeuta, docente di Psicologia pastorale presso il Seminario Arcivescovile di Milano e l’Università Pontificia Salesiana di Torino, don Stefano Guarinelli propone qui una riflessione sul pettegolezzo, comportamento ben attestato nella vita ecclesiale e religiosa, tanto da suscitare in reiterate circostanze il monito di papa Francesco. Lo studio associa acute considerazioni teoriche a note esperienziali, offrendo al lettore alcuni strumenti per leggere in profondità un fenomeno che anche nelle sue manifestazioni più blande non è esente da esiti maligni. La ‘chiacchiera’ risulta infatti strettamente legata a un’esigenza di controllo, e si esercita dunque come una forma di potere che trova più facile ospitalità in persone insoddisfatte o animate da invidia e risentimento. Ma il pettegolezzo è anzitutto un meccanismo sociale, una forma di controllo che il gruppo mette in campo per garantirsi coesione: «Il pettegolezzo nella Chiesa non è questione di alcuni ecclesiastici pettegoli, ma di una comunità che – essendo gruppo a tutti gli effetti – cerca di mantenere la propria coesione sociale e, attraverso il pettegolezzo, lo fa in modo maldestro e non di rado gravemente dannoso».