Il titolo di questo importante saggio di don Giuliano Zanchi, segretario generale della Fondazione Bernareggi di Bergamo, ne riassume la tesi e auspica la direzione verso la quale dovrebbe indirizzarsi un agire pastorale conscio dell’attuale contesto postcristiano. Coltivare uno sguardo lucido sulla realtà, percepire il valore dell’umano che si è sviluppato al di fuori della Chiesa, sforzarsi di ripensare la comunità pensando al mondo, sono le precondizioni di un progetto testimoniale che sappia parlare agli uomini e alle donne di questo tempo, nella consapevolezza che la vita cristiana consiste anzitutto nel lavoro pastorale che ogni giorno edifica la comunità. Tale prospettiva individua un obiettivo prioritario: «Il primo compito di una comunità di discepoli consiste nel rendere effettiva e visibile, per quanto fallibile e limitata, una reale vita di comunione fraterna, nella quale soltanto è possibile rivedere nel suo splendore concreto l’umanesimo di Gesù e la via evangelica che lo tratteggia». La scelta di rimettere al centro «il primato della quotidiana costruzione pastorale rispetto al lavoro della codificazione dottrinale e dell’organizzazione giuridica della disciplina», diviene così il principio organizzatore che provoca a ripensare la fisionomia delle nostre comunità attorno alla pratica dei legami fraterni e della carità nonché al primato della Parola compresa e fatta cibo quotidiano nella liturgia. La ricchezza dell’analisi, la visione di insieme e l’apertura prospettica di questo studio sono un contributo prezioso al dibattito sul futuro del cristianesimo parrocchiale, che auspichiamo possa avere un seguito sulle pagine della Rivista.
L’articolo di Luciano Manicardi, monaco di Bose, risuona in questo periodo estivo quale provvido invito a riconsiderare la qualità dei nostri ‘tempi’ quotidiani. La suggestiva riflessione riprende il tema dell’otium sia nella sua originaria declinazione classica sia nella ripresa della tradizione spirituale cristiana. Particolare attenzione viene poi posta alle risonanze che queste due matrici hanno avuto presso alcuni pensatori moderni e contemporanei, accomunati dalla denuncia delle derive antropologiche causate dalla progressiva egemonia della tecnica e dell’economia nella società attuale. Il tema dell’otium rimanda così a un impegnativo e più ampio discernimento sulla sapienza del vivere e a una presa di distanza da quella frenesia del fare, sovente non estranea anche all’agire pastorale, che ben si presta a far da schermo a una relazione profonda con se stessi. Sostiene Manicardi: «A una concezione e soprattutto a una pratica disumanizzante del tempo come produttivo perché votato al profitto, all’esperienza della frammentazione del tempo in tempi successivi e incalzanti, all’imperativo della velocità, allo slogan dell’ottimizzazione dei tempi, l’otium risponde abitando il tempo. E ben sapendo che abitare il tempo […] significa abitare con se stessi, facendo della pace con se stessi la base della costruzione della comunità».
Dedicato ad Accompagnare, discernere e integrare le fragilità, il capitolo VIII di Amoris Laetitia tratta il tema più dibattuto e controverso affrontato nella duplice assise sinodale. Esso ha calamitato ben presto l’attenzione della stampa ma anche quella di pastori e fedeli che da tempo attendevano una parola nuova a proposito della disciplina delle ‘irregolarità’ matrimoniali. L’intervento di don Aristide Fumagalli, docente di Teologia morale presso il Seminario di Venegono e la Facoltà Teologica di Milano oltre che membro della Redazione, offre qui un’attenta e calibrata ermeneutica del capitolo, situandolo nel contesto dell’Esortazione, del magistero di Francesco e dei due precedenti pontefici. In questa prospettiva il criterio più adeguato per interpretare il discreto riferimento del testo riguardo l’accesso a sacramenti dei fedeli divorziati risposati sembra essere quello di collocarlo nella logica del discernimento, la ‘porta stretta’, che sola può condurre a percorrere, in verità, il cammino dell’amore cristiano. «L’indicazione dell’esigente via del discernimento particolare invece che quella della normativa generale non è l’abdicazione di Francesco alla sua autorità magisteriale, ma il coinvolgimento nel cammino della Chiesa della responsabilità di tutti: dei fedeli interessati, che dovranno interrogarsi in coscienza circa la loro situazione matrimoniale; degli operatori pastorali, che li accompagneranno nel cammino di maturazione personale; dei presbiteri con cui condurranno il discernimento; dei Vescovi, cui compete di indicare gli orientamenti che integrino, a beneficio delle Chiese locali, l’insegnamento del papa». L’autore elenca infine alcuni criteri orientativi, consapevole che il processo aperto dall’Esortazione ha carattere profondamente innovativo. Esso va affinato anche con la proposta di parametri che possano fungere da riferimento comune, soprattutto per i presbiteri, e favoriscano, pur nella singolarità dei processi di inculturazione, una certa omogeneità nella cura pastorale dei fedeli divorziati risposati.
Nel corso degli anni giubilari viene ripresa la secolare prassi delle indulgenze. Nel contesto di quest’Anno Santo dedicato alla Misericordia, la nota che qui pubblichiamo aiuta a comprendere le radici storiche e le matrici teologiche che hanno dato origine a tale pratica. L’autore, mons. Saverio Xeres, docente di Storia della Chiesa alla Facoltà teologica di Milano, offre qui con precisi e sintetici tratti un profi lo storico e teologico della prassi indulgenziale, dalle origini medioevali alla contestazione della Riforma protestante fino alla ripresa da parte di Paolo VI e alle successive riflessioni teologiche sul tema del purgatorio.