Orientamento del ministero presbiterale alla missione della Chiesa,
equilibrio fra culto ed evangelizzazione, importanza della dimensione
pneumatologica: queste sono, secondo Alphonse Borras, vicario
generale della diocesi di Liegi, le ‘verità trascurate’ dalla recente riflessione
sulla figura del prete. Con questo intervento, che coniuga
riflessione teologica e sensibilità ecclesiale, l’Autore dà risalto a
quelle verità che meritano di essere rispettate sia dal punto di vista
dottrinale sia dal punto di vista pastorale proprio per onorare l’equilibrata
e ancor oggi attuale prospettiva introdotta dal Concilio
Vaticano II al riguardo. Infatti, in una cultura che a volte esalta a oltranza
la soggettività con le sue derive narcisistiche, i preti sono tenuti
a svolgere il loro ruolo di testimoni gioiosi dell’attualità della
salvezza: «Sono tenuti continuamente a imparare a dare il meglio di
se stessi e a vivere una vera carità pastorale per tutti, ma senza mai
dimenticare che, a imitazione di Giovanni Battista, devono sparire
davanti all’azione di Dio nel mistero della liturgia come nell’avventura
della missione».
Pubblichiamo l’intervento che mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo
ausiliare di Milano e preside della Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, ha tenuto lo scorso marzo presso l’Università Cattolica di Milano in occasione della giornata di studio su Che cosa è successo nel Vaticano II. La relazione individua con semplicità ed efficacia
le quattro principali direttrici scaturite dalle quattro grandi costituzioni
conciliari che hanno plasmato e orientato la vita della Chiesa in questi ultimi decenni. L’Autore mostra come, seguendo queste indicazioni fondamentali, il cattolicesimo si sia ritrovato più vicino alle genuine matrici del celebrare, dell’ascolto della Parola, del
suo essere popolo di Dio per il mondo. Questa dunque è la modalità sostanziale con la quale il Vaticano II ha inciso nelle nostre Chiese: «Forse lo “stile del Concilio” delinea qui il suo arco più importante: dalla liturgia pregata all’ascolto della parola, dal luogo
ecclesiale alla destinazione agli uomini, lo “stile del Concilio” deve far accadere sempre più l’insondabile incontro tra il mistero santo di Dio e la libertà degli uomini».
Al termine dell’ostensione della Sindone presentiamo un saggio che illustra le principali questioni sempre di nuovo suscitate dal ‘sacro lino’. L’autore, don Davide D’Alessio, docente di teologia fondamentale presso il Seminario di Seveso (MI), analizza sia le problematiche storico-scientifiche sia quelle spirituali, ma concentra la sua attenzione
sulla questione ‘fondamentale’, teologica, interrogandosi sulla valenza testimoniale della Sindone (reliquia, segno, icona?) e sul suo valore per la vita di fede. La Sindone, dunque, seppure non possa essere considerata ‘oggetto di fede’, resta sempre e comunque un oggetto di devozione. La Sindone è una realtà povera, debole, ma come afferma Giuseppe Ghiberti «è un segno estremamente espressivo, efficace,
impegnativo. È tanto povera, che non sappiamo di dove viene, in quale epoca sia nata, con quale processo si sia formata, e deve essere accettata così, senza forzare verso gradi di certezza che possiamo desiderare ma il Signore non ci ha dati… Però la Sindone c’è, e dice le stesse cose che dice il vangelo sulla morte e sepoltura di Gesù, anzi diventa segno proprio e solo attraverso il vangelo».
Vivere la condizione di straniero, oggi come all’epoca biblica, significa sperimentare la marginalità sociale e il sospetto. Lo testimoniano le figure di Rut la moabita e Achiòr l’ammonita, personaggi minori e di stirpe ostile a Israele, ma significativi nella dinamica storico-salvifica, in cui molto spesso personaggi marginali svolgono ruoli di grande
rilevanza. Rut infatti è donna, straniera, vedova, senza figli: assomma in sé una serie di svantaggi che potrebbero condannarla all’insignificanza. Invece diventa un aiuto prezioso non solo per la suocera Noemi ma anche per il popolo di Israele che l’accoglie: dalla sua discendenza proverrà il Messia. Anche Achiòr, che compare nel libro di Giuditta, ebbe una sorte per certi aspetti analoga. Con questo studio Donatella Scaiola, docente presso la Pontificia Università Urbaniana, propone suggestivi spunti per orientare un approccio non ideologico allo straniero: «Si può almeno dire che i testi
letti invitano a un discernimento, al riconoscimento della risorsa che l’altro rappresenta, un riconoscimento che può essere fonte di stupore, generato dal fatto che l’altro sia una risorsa oltre che – o invece di – rappresentare un problema».
La liturgia domenicale (e in essa la preghiera eucaristica) è il momento più importante della vita delle nostre Chiese. Per questo la traduzione dei testi eucologici richiede grande cura, come sottolinea l’istruzione della Congregazione del Culto Divino Liturgiam
authenticam (2001), che impone una traduzione più letterale dei testi della liturgia. In questa prospettiva don Enrico Mazza, docente di Storia della liturgia alla Facoltà di Lettere dell’Università Cattolica di Milano, esamina la traduzione di quattro importanti punti della preghiera eucaristica del Messale Romano, mostrando come alcune scelte meglio corrispondano al testo latino e insieme siano più pertinenti sotto il profilo teologico.
Nessun significativo dibattito o reazione dell’opinione pubblica (ecclesiale e non) è seguito alla scelta del governo italiano di tornare all’energia nucleare. Eppure si tratta di un argomento di grande rilevo non solo civile ma anche etico, come peraltro attestano
recenti e autorevoli pronunciamenti del Magistero a proposito della questione ambientale. Il ricorso all’energia nucleare mette infatti a rischio la solidarietà tra le generazioni (che pianeta consegneremo alle generazioni future?) e la giustizia nei rapporti tra paesi ricchi e paesi poveri (siamo consapevoli dei pesanti costi che
l’estrazione dell’uranio comporta per questi ultimi?). L’Autore, vicerettore del Seminario di Cremona, mette poi pertinentemente in relazione la problematica nucleare con il nostro paradigma socio- economico ispirato all’iperconsumo e alla crescita senza limiti,
la cui insostenibilità è sotto gli occhi di tutti. Anche a proposito dell’energia ci sembra necessario, come afferma Benedetto XVI nella Caritas in veritate, ripensare a «un modello di sviluppo fondato sulla centralità dell’essere umano, sulla promozione e condivisione del bene comune, sulla responsabilità, sulla consapevolezza del necessario cambiamento degli stili di vita e sulla prudenza, virtù che indica gli atti da compiere oggi, in previsione di ciò che può accadere domani».