L’autorevole e tempestivo contributo di mons. Gianni Ambrosio
(vescovo di Piacenza-Bobbio e Presidente della Commissione episcopale
per l’educazione cattolica, la scuola e l’università) introduce
agli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il prossimo
decennio, puntando l’attenzione soprattutto sul senso e sulle
ragioni della scelta del tema educativo, strettamente connesso con
l’odierna, preoccupante situazione culturale che sembra porre in
discussione la stessa possibilità dell’educare. Con la scelta operata
i Vescovi italiani chiedono alle loro Chiese di reagire a questo contesto
riproponendo l’ideale alto di un’educazione integrale della
persona che ha come riferimento l’azione e l’essere di Cristo, colui
che «ha rivelato anche l’uomo a se stesso, rendendogli nota la
sua altissima vocazione». Educare quale compito ecclesiale, quindi,
ma azione di importanza vitale per tutta la società civile, dove le
comunità ecclesiali vivono e sono chiamate a interpellare «i diversi
soggetti educativi, manifestando l’amicizia fra Cristo e la vita quotidiana
dell’uomo».
La bella meditazione di Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose,
riprende e approfondisce in termini radicali il tema dell’educazione
alla fede. Essa prende le mosse dalla constatazione della crescente
difficoltà che la comunità cristiana incontra nella trasmissione della
fede e lancia la provocazione che causa non secondaria di questi insuccessi
sia la povera conoscenza che gli stessi cristiani hanno di
Gesù. La riflessione propone così di guardare al Gesù dei vangeli come
stimolo a ripensare l’approccio educativo, poiché in lui si scorge
«un’arte nell’incontrare l’altro, nel comunicare con l’altro, nel tessere
con l’altro una relazione: l’arte di un educatore alla fede».Affidabilità,
accoglienza, capacità di farsi vicino all’altro e comprendere il
suo bisogno, valorizzazione della fede dell’altro: sono solo alcuni dei
tratti dell’agire di Gesù che possono essere imitati dal testimone
che vuole farsi evangelizzatore di Cristo e quindi «sa incontrare gli
uomini in modo umanissimo; sa essere una persona affidabile, la cui
umanità è credibile; sa essere presente all’altro, sa fare il dono della
propria presenza; sa, in un decentramento di sé, fare segno a Gesù
e, attraverso di lui, indicare Dio, il Dio che è amore».
In queste ultime settimane il grande successo del film «Uomini di
Dio» mostra quanto sia significativa la vicenda dei monaci di Tibhirine,
trucidati nel 1996 da un gruppo di terroristi islamici sui monti
dell’Atlante in Algeria. In questo articolo Gilles Routhier (docente alla
Facoltà di teologia dell’Università Laval, Québec) analizza nel corpus
degli scritti di Christian de Chergé – priore della comunità – la
sua riflessione sul tema del martirio, andando così alle radici della luminosa
testimonianza offerta poi da lui stesso e dai suoi monaci. Il
martirio più che un evento straordinario ed eroico viene considerato
come l’estremo sigillo del dono di sé nella semplicità quotidiana
del monaco così come del cristiano in genere. «Il martire dell’amore
diviene allora un modo per la Chiesa di essere compagna di strada
con l’umanità ferita, di proseguire la conversazione con gli altri, senza
imporre nulla, senza alzare la voce, ma mettendo il grembiule e lavando
i piedi di chi si presenta e chiamando “amico” anche chi agisce
con violenza, spingendosi fino ad offrirgli il proprio perdono».
La ‘crisi’ del prete non è certo una novità e tuttavia rappresenta un
tratto significativo e preoccupante dell’attuale stagione ecclesiale.
Don Roberto Repole, docente di Ecclesiologia presso la Facoltà
teologica di Torino, esamina con sereno coraggio le ragioni che possono
spiegarla, operazione particolarmente urgente specie laddove,
come nella sua diocesi d’appartenenza, il fenomeno ha assunto un
rilievo numerico allarmante. Burnout, fine del regime di cristianità, recezione
non armonica del Concilio Vaticano II, sono solo alcuni dei
molti aspetti di un disagio che interpella la Chiesa su due questioni
fondamentali: anzitutto il discernimento circa le modalità storiche
con le quali il ministero sacerdotale possa vivere nella Chiesa e nella
società odierne; in secondo luogo i modi attraverso cui il ministero
possa rappresentare un segno di contraddizione per la mentalità
corrente. Più in generale sembra imporsi alle Chiese diocesane
«l’urgenza di ripensare, in un modo paziente ma realmente condiviso
da tutti (vescovo, preti e laici), la figura ecclesiale nell’orizzonte
della fine della cristianità; e l’importanza che i preti si percepiscano
responsabili, per quel che è loro possibile, dei conseguenti cambiamenti
ecclesiali oggi richiesti dal nuovo modello culturale».
Pubblichiamo la seconda parte dello studio di don Angelo Manfredi,
presbitero della diocesi di Lodi e docente di storia della Chiesa, sull’opera
pastorale del beato Guido Maria Conforti. Viene qui approfondita
la sua azione episcopale nella diocesi di Parma, descrivendo
le principali scelte operate, in equilibrio fra tradizione e
rinnovamento, secondo uno stile di assoluta dedizione alla sua Chiesa.
L’impostazione confortiana, afferma l’Autore, «era una delle migliori
per quel tempo, in cui la “cristianità” di tradizione non s’era
ancora esaurita e i conflitti ideologici sembravano non compromettere
del tutto le potenzialità di un’azione pastorale convinta e capillare». Emerge in queste pagine uno stile pastorale che mantiene
tratti di sicura attualità, in grado di provocare anche i pastori del
XXI secolo.
La quotidiana presenza della Parola di Dio nella vita del presbitero è valore ampiamente acquisito dopo il Concilio Vaticano II. La rifles sione qui proposta da don Chino Biscontin, docente alla Facoltà
teologica del Triveneto a Padova e Direttore della rivista «Servizio
della Parola», offre una preziosa occasione per verificare quanto siano
realmente percepite le ricchezze che la pratica biblica apporta alla
vita ministeriale. L’articolo, infatti, lega e fonda le riflessioni a una
doverosa precisazione dell’indole teologica della Scrittura biblica,
dalla quale fa discendere calibrate considerazioni spirituali ed efficaci
indicazioni pastorali. Il presbitero deve infatti essere consapevole
della responsabilità derivante dal suo legame con la Parola, specie
nella predicazione, che «deve avere la dignità di un atto “sacramentale”,
deve offrire a Dio l’opportunità di parlare a questa comunità
radunata in assemblea, che è suo popolo».