Pratica liturgica abituale, la lettura della Scrittura è fin dalla sua origine sinagogale gesto peculiare e inconfondibile, ulteriormente specificato dalla pratica stessa di Gesù. Lo studio di Goffredo Boselli, monaco della comunità ecumenica di Bose, ne presenta la ricchezza
di significati offrendo al lettore l’occasione di verificare le celebrazioni della propria comunità e riappropriarsi del senso teologico di un gesto liturgico di importanza essenziale. La riflessione, di taglio biblico-spirituale, si sviluppa riferendosi a due testi centrali: la lettura di Isaia fatta da Gesù nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,16-21) e la solenne lettura del libro della Legge tenuta dallo scriba Esdra a Gerusalemme (Ne 8,1-12). L’articolo poi, procedendo dagli elementi comuni ai due brani, sviluppa un’ampia teologia della lettura liturgica della Scrittura in riferimento alla comunità, alla visibilità del libro nel suo rapporto con il mistero eucaristico, alla voce del lettore che proclama la Scrittura. Un itinerario essenzialmente cristologico, la cui direzione è ben riassunta da queste parole di Origene: «Anche ora, se lo volete, in questa sinagoga, in questa nostra assemblea, i vostri occhi possono fissare il Salvatore».
Prosegue con questo intervento del prof. Francesco Botturi, docente di Filosofia morale all’Università Cattolica di Milano, la serie degli articoli che la Rivista va dedicando all’analisi delle complesse sfaccettature assunte dal tema educativo nel nostro tempo. Viene qui proposta una riflessione di taglio fondamentale sull’educazione intesa come esperienza. Si tratta di un approccio centrato su un’antropologia relazionale, che intende la dinamica educativa come introduzione e accompagnamento alla competenza esperienziale.
Possibilità radicalmente messa in discussione dalla cultura post-moderna – nichilista e tecnocratica – ma praticabile, secondo l’autore, attraverso il recupero di ospitalità e generazione, categorie che costruiscono il soggetto e permettono di accedere alla pienezza dell’esperienza umana. Lo studio non fornisce solo un nitido quadro per pensare le radici culturali della attuale crisi dell’educazione, ma offre anche suggerimenti utili a evitare vicoli ciechi: invitando a riconoscere come essenziale un «orizzonte antropologico, in cui sia
riconosciuto che il dono iniziale dell’esistenza ha bisogno di essere affidato a chi sia in grado di accoglierlo e di farlo crescere e fruttare».
Lo studio di don Saverio Xeres, docente di Storia della Chiesa alla Facoltà teologica di Milano e redattore della Rivista, ripercorre le reazioni di un grande sacerdote del secolo scorso, don Primo Mazzolari, di fronte al crescente e massiccio allontanamento dei suoi contemporanei dal cristianesimo. Il saggio, che unisce felicemente ricostruzione storica del contesto e analisi spirituale e pastorale dell’azione di don Primo, permette di apprezzarne l’itinerario che, fondato
sulla consapevolezza della peculiarità della propria condizione sacerdotale, ne interpreta la missione quale incessante azione di avvicinamento dell’uomo ‘reale’ a un cristianesimo centrato attorno alla Parola e alla carità. Il tema dei ‘lontani’, così acutamente percepito oltre cinquanta anni fa, risuona in questa ricostruzione con intatta attualità e carica provocatoria, invitando a diffidare della linearità astratta dei piani pastorali e a confidare in una forma di apostolato speso quanto più possibile a contatto con le sofferenze della gente comune.
Ci sono libri che danno illuminanti chiavi interpretative della società odierna e delle sue tendenze. Barbari di Alessandro Baricco è senz’altro uno di questi. Ha infatti il merito di segnalarla mutazione antropologica in atto, un cambiamento di paradigma nel modo di vedere il
mondo e di starvi, il cui emblema (e insieme causa ed effetto) è Internet.
La mutazione non ha un inizio preciso: ce ne accorgiamo solo ora, quando i suoi effetti sono già dispiegati. Si è passati nel giro di pochi anni da una visione della vita i cui cardini erano profondità, lentezza, fatica, interiorità, armonia, saggezza, a un’altra visione i cui valori sono superficialità, velocità, leggerezza, spettacolarità, frammentazione, emozione. Lì dentro sono letteralmente formate le nuove generazioni. L’autore di questa nota (che si definisce un cristiano senza Chiesa) fa notare quanto tale cambiamento tocchi la missione della Chiesa. Pur con qualche considerazione su cui si può discutere (in particolare a proposito della metafisica), Piccioli rileva come sia importante in un tempo così caratterizzato, privilegiare l’aspetto caritativo del cristianesimo, auspicando che in un mondo selvaggio e inevitabilmente pluralistico dal punto di vista religioso la figura del buon samaritano diventi la chiave per una nuova evangelizzazione.
Torniamo a riflettere sull’annuncio dell’evangelo alle nuove generazioni.
Il tema è importante, a motivo del radicale mutamento di contesto e di linguaggi che la ‘rivoluzione digitale’ ha promosso nella cultura giovanile. L’articolo di don Marco Pozza, giovane presbitero della diocesi di Padova, disegna provocatoriamente il nuovo scenario dell’evangelizzazione, simile alla navigazione in mare aperto, disponibile a veloci tattiche più che a ingombranti strategie. Oggi domina una nuova forma di percezione del mondo, che tende a rispecchiare le dinamiche comunicative sperimentate sul web, percepite come estranee
e inquietanti dagli schemi della pastorale più consolidata, eppure da affrontare, poiché anche questa parte di umanità ha tutto il diritto di sentirsi annunciare la Parola che salva. Don Pozza suggerisce al lettore alcune linee che permettono di intuire come ricreare e riaggiornare
il linguaggio che addita al Cielo: impiegare un linguaggio rapido, denso di immagini e metafore, agire per veloci scorribande tattiche, privilegiare il lato estetico dell’annuncio: «La vittoria tra
rilevanza e irrilevanza potrebbe giocarsi sul potere della Bellezza: sull’annuncio di un Dio in forma attraente che sorprenda, provochi e incanti. Il post-cristianesimo reclama un veritatis splendor».