In questo fascicolo semi-monografi co, la Rivista dedica al tema dell’ormai prossimo Sinodo dei vescovi (4-25 ottobre) tre contributi: rispettivamente, una riflessione di sintesi sulla famiglia come soggetto pastorale e due articoli sull’accesso all’Eucaristia da parte dei divorziati risposati. L’intento è di offrire ai lettori un quadro informativo delle importanti questioni e delle diverse prospettive in gioco. Autori del contributo iniziale sono Alfonso Colzani e Francesca Dossi, una coppia di sposi (licenziati in teologia e docenti di religione nelle scuole superiori), dal 2009 al 2014 responsabili del Servizio per la famiglia della diocesi di Milano. La loro esperienza famigliare (sono genitori di quattro figli) e il loro servizio ecclesiale danno a queste pagine un tono concreto che i lettori avranno modo di apprezzare. Nella prima parte del contributo si mostra a quali condizioni la famiglia possa davvero essere soggetto pastorale attivo, superando nei fatti il paradigma clericale che spesso dà forma alle comunità cristiane. Si riverbera qui la questione del laicato che ancora attende un’effettiva valorizzazione a oltre cinquant’anni dal Concilio. L’articolo auspica poi un approccio alla realtà della famiglia capace di simpatia, cordialmente consapevole delle fatiche che essa è chiamata ad attraversare in un tempo difficile come questo. Insieme, l’invito è a considerare come nelle relazioni di una famiglia «sufficientemente buona» si apprendano la grammatica e il lessico fondamentali dell’umano: passione per i legami, sapienza degli affetti, logica del dono, apertura alla trascendenza sono ambiti nei quali non è difficile scorgere la potenzialità evangelizzatrice della famiglia, la sua vocazione e missione nella Chiesa e nella società, oltre la retorica.
Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, dopo aver proposto alcuni rilievi circa l’Instrumentum laboris (in particolare a proposito dell’espressione ‘vangelo della famiglia’ e dei matrimoni misti), auspica che vengano individuati per alcuni divorziati risposati, e secondo stringenti condizioni, «dei cammini penitenziali che abbiano come possibile esito anche la ritrovata comunione eucaristica vissuta nell’assemblea della Chiesa di Dio». Tale possibilità, afferma l’Autore, non costituirebbe un cambiamento della dottrina cattolica sull’indissolubilità, bensì della disciplina attuale. Ispirata a una concezione «medicinale» e «nutritiva» dell’Eucaristia, l’ipotesi intenderebbe dare una risposta a quelle situazioni, sempre più diffuse in Occidente, in cui il legame matrimoniale appare irrimediabilmente compromesso. «Sarebbe un racconto convincente della misericordia e della compassione del nostro Dio, che in Gesù Cristo ci ha dato la remissione dei peccati».
Per mons. José Granados (vicepreside e ordinario di Teologia dogmatica al Pontifi cio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia presso l’Università Lateranense di Roma) la disciplina tradizionale che non consente ai divorziati risposati la partecipazione all’Eucaristia va mantenuta anche nel contesto attuale. A fondamento di tale posizione – afferma l’Autore – sta un’accezione non sentimentale (o ‘liquida’) di misericordia. La misericordia biblica infatti non è mera tolleranza del male, ma mira a «rigenerare il peccatore, per riportarlo sul sentiero della vita». Matrimonio ed Eucaristia sono i due sacramenti che danno concretezza all’amore misericordioso di Dio verso gli sposi. Il primo, mediante l’indissolubilità conferita al legame, garantisce che è sempre possibile tornare alla fedeltà della promessa originaria. L’Eucaristia poi esprime la misericordia di Dio conformando «al modo di vita di Cristo», nell’unione degli sposi in una sola carne. In tale prospettiva, la nuova unione civile costituisce un’opposizione manifesta alla logica di questi due sacramenti, facendo venir meno la piena appartenenza alla Chiesa. «È quindi necessario percorrere un cammino di reintegrazione, fino a raggiungere la piena comunione visibile che permetta l’accesso alla comunione eucaristica. Ciò significa arrivare a un punto in cui si possa abbandonare la nuova unione e, se ciò non è possibile, vivere in continenza». In questo senso, l’articolo auspica itinerari di accompagnamento ecclesiale che rendano perseguibile la meta ardua del ritorno alla vita secondo la promessa degli inizi.
La Traccia preparatoria del prossimo Convegno ecclesiale nazionale di Firenze (In Gesù Cristo il nuovo umanesimo, 9-13 novembre) annovera il «trasfigurare» tra le cinque vie di umanizzazione su cui le comunità ecclesiali sono chiamate a riflettere e agire, riportando la vita liturgica e sacramentale tra i temi principali di attenzione. Goffredo Boselli, monaco della comunità ecumenica di Bose, rilegge alla luce dell’idea matrice del Convegno il significato attuale di questa fondamentale azione della Chiesa. La Traccia invita a porre l’umanità di Gesù quale ipotesi di lavoro, mostrando che nella concreta umanità di Gesù Cristo narrata nei Vangeli possiamo riconoscere e fare nostra la verità di uomini e donne di questo mondo. Se dunque il «nuovo umanesimo portato da Cristo è la sua stessa umanità», anche l’azione liturgica è invitata a reinterpretarsi in modo che «i credenti assidui come quelli occasionali, attraverso l’umanità della parola e del gesto liturgico, l’umanità dell’ambiente e dello stile liturgico, entrino in contatto e facciano esperienza dell’umanità di Dio rivelata nell’umanità di Gesù Cristo. Dobbiamo essere abitati dalla certezza che quell’umanità di Gesù diventata narrazione evangelica può anche diventare ritualità liturgica».
Il saggio che qui pubblichiamo si colloca nel contesto più generale del ruolo femminile in un mondo religioso caratterizzato in senso androcentrico. Annalisa Guida (docente di liceo a Napoli e assistente alla cattedra di Nuovo Testamento presso la Pontificia Facoltà teologica dell’Italia Meridionale, sez. san Luigi) lo affronta analizzando il Secondo Vangelo secondo il metodo narrativo. L’attento studio dei personaggi femminili, apparentemente secondari e di poco rilievo, si rivela denso di sorprendenti scoperte che riguardano sia la caratterizzazione del ruolo femminile sia l’esemplarità del comportamento di molte donne, segnalato in contrapposizione a quello dei discepoli e di altri personaggi maschili, tanto che «in loro compagnia, piuttosto che in quella dei Dodici, rimangono il Gesù di Marco e il suo lettore. In ricordo di loro e grazie anche a loro viene annunciata la buona notizia».
«Non è possibile entrare nel ritmo della fede al di fuori di un’esperienza ecclesiale coinvolgente che abbia la forma di un evento sempre inedito, capace di generare simpatia, accoglienza e imitazione da parte dei giovani». Questo è, secondo don Rossano Sala sdb, docente di Pastorale giovanile presso la Pontificia Università Salesiana di Roma, il punto qualificante di una pastorale giovanile oggi. La nota, dopo averne tracciato le coordinate teologiche, insiste su un’impostazione testimoniale e in particolare sulla necessità di superare una considerazione solo passiva dei giovani, per abbracciare una strategia pastorale guidata da una sincera fiducia e speranza verso le nuove generazioni. «Se questo atteggiamento manca nei responsabili della pastorale giovanile – e in generale nell’istituzione ecclesiale – non vi sarà la possibilità di fare dei giovani dei soggetti attivi della pastorale giovanile, e in fondo diventa così impossibile fare di loro degli autentici discepoli del Signore».