Il 2015 è stato dedicato da papa Francesco alla vita consacrata, nella ricorrenza dei 50 anni dalla pubblicazione del decreto conciliare Perfectae caritatis. Proprio quel decreto è al centro della riflessione di S.E. mons. Paolo Martinelli, Vicario episcopale per la vita consacrata maschile della diocesi di Milano, tesa a evidenziare il significato della consacrazione religiosa per la vita della Chiesa oggi. Infatti, dopo la ripresa conciliare che ha riferito i consigli evangelici al sacerdozio battesimale, la vita consacrata ha rinnovato la ricerca di una propria specificità, che a giudizio dell’autore consiste «nell’esplicitare, in modo carismaticamente determinato, l’implicito battesimale a utilità di tutta la Chiesa. Il fatto stesso che Cristo abbia vissuto casto, povero e obbediente, impedisce di considerare tale forma come facoltativa per la Chiesa. Nei consigli evangelici, che ri-presentano l’umano di Cristo, il battezzato trova un riferimento essenziale per il proprio cammino umano ed ecclesiale». In tale prospettiva l’articolo auspica, quale sfida per il futuro, che la vita consacrata si pensi e si svolga profondamente radicata nella Chiesa, locale e universale, ritrovando dentro il travaglio di questo tempo la propria caratteristica di segno profetico dell’umano in Gesù Cristo.
Una delle domande preparatorie del prossimo Sinodo ordinario sulla famiglia riguarda l’attualità e l’adeguatezza degli attuali percorsi in preparazione al matrimonio. Si tratta di un quesito di grande portata poiché ancor oggi essi rappresentano la principale e più diffusa forma di attenzione alla famiglia praticata dalle comunità cristiane. Don Marco Paleari, docente di Teologia sacramentaria presso il Seminario Arcivescovile di Milano, in questo articolo offre un’ampia rassegna delle problematiche che andrebbero affrontate per un’adeguata preparazione al matrimonio sacramentale. La prospettiva proposta si muove all’interno delle scelte della Chiesa italiana, valorizzando la preparazione al matrimonio quale itinerario di fede da svolgersi all’interno di un’esperienza di Chiesa. Questa prospettiva ‘catecumenale’ porta a una serie di considerazioni pastorali di grande rilievo pratico, sulle quali non risulterà superfluo riflettere.
Pubblichiamo qui un’interessante rassegna di alcuni recenti successi letterari che, tra lo stupore dei critici, mostrano il ritorno d’attualità di tematiche religiose, per molti anni scomparse dal panorama della narrativa. Gli autori dei libri presentati – Ian McEwan, Michel Houellebecq, Amos Oz, Emmanuel Carrère – non si professano credenti, ma nemmeno sono animati da spirito antireligioso. Il tratto che li accomuna è piuttosto un avvicinarsi fresco e curioso al cristianesimo, motivato da genuino interesse e da autentica passione: il cristianesimo continua a dar da pensare e a interrogare, anche allo spirito disincantato della cultura occidentale. Forse proprio in tale approccio non compromesso ideologicamente, sottolinea Lucetta Scaraffia, (storica alla Sapienza di Roma ed editorialista dell’«Osservatore Romano» e del «Messaggero») , sta l’interesse di queste letture: «Per capire qualcosa della fede oggi serve molto leggere i romanzi di questi scrittori che si dichiarano non credenti, ma con qualche esitazione. E questo equivale a lasciare aperta una fessura attraverso la quale passa un vento forte, che scuote i luoghi comuni laici e devoti».
Con questo saggio, Donatella Scaiola, docente di Esegesi presso la Pontificia Università Urbaniana, prosegue la sua riflessione sul potere politico nella Bibbia affrontando il tema dall’angolatura particolare della vicenda di due donne, Dina e Tamar. I racconti, narrati in due passi poco noti dell’Antico Testamento, riportano la storia drammatica di donne che in modi diversi vengono sacrificate a logiche di potere familiare e politico. Nelle vicissitudini delle due protagoniste si evidenziano e denunciano le reticenze, le ambiguità e la violenza, messe in atto da personaggi autorevoli, protagonisti di una medesima e persistente logica di potere. L’illuminante esegesi delle due storie non solo provoca il lettore a una presa di posizione, ma lo invita a riflettere su quanto questi meccanismi violenti e ambigui siano connaturati all’esistenza umana e persistano ancora oggi.
Il tema della verità rappresenta un luogo teologico fondamentale, ampiamente frequentato dalla teologia e ripreso nei più autorevoli testi magisteriali. L’intento della ricca riflessione di don Massimo Naro, docente di Teologia sistematica presso la Facoltà teologica di Sicilia (Palermo), non è analizzare questa complessa e autorevole tradizione, ma riprendere la provocatoria affermazione di papa Francesco che rilegge quella importante categoria nei termini di «relazione». Il saggio si dipana quindi a mo’ di meditazione teologica, ritrovando nella Scrittura e nella tradizione cristiana quel filo rosso che permette di dare corpo e meglio comprendere l’inusuale affermazione papale e le sue conseguenze nella comprensione della trasmissione della fede – una tradizione per ‘contagio’ – e della pedagogia, che non può essere concepita come estranea da concreti percorsi formativi.