Lo spirito e la prassi di rinnovamento che stanno caratterizzando il pontificato di papa Francesco hanno ridato vigore a un’istanza spirituale costitutiva della Chiesa, quella della riforma, che lungo la storia si è ripetutamente espressa come ricerca della fedeltà al Vangelo. Luciano Manicardi, monaco di Bose, sviluppa qui un’approfondita riflessione sulle dimensioni spirituali che fondano il riformare nella Chiesa. Le sue radici stanno nella fedeltà personale e comunitaria alla Parola, si esprimono in azioni storiche, nell’obbedienza all’azione imprevedibile dello Spirito che suggerisce di spogliarsi del superfluo per realizzare ciò che i tempi richiedono. Disporsi sintonicamente nel flusso riformatore dello Spirito significa quindi essenzialmente «rispondere al Vangelo e del Vangelo e risponderne nell’oggi storico, agli uomini e alle donne di oggi, all’umanità che vive hic et nunc». L’istanza della riforma ha dunque un eminente senso responsoriale e riferisce la Chiesa al suo contesto storico rendendola vigilante sul presente. «L’atto di riforma è dunque proprio di una Chiesa responsabile di se stessa».
In vista del prossimo Sinodo dei vescovi l’editrice Vita e Pensiero ha raccolto alcuni dei più importanti scritti del card. Martini sulla famiglia in un volume intitolato La famiglia alla prova. Parole della sapienza cristiana. Pubblichiamo qui uno dei contributi più suggestivi del libro, dove si commentano i primi due capitoli del libro di Giobbe che descrivono la figura di una coppia che non sa sopportare unita la prova: un caso di famiglia difficile. Sono pagine di grande acutezza, perché fanno emergere dal testo biblico le insidie più pericolose che i legami familiari, e in particolare quelli di coppia, incontrano soprattutto nel tempo della prova: la delusione, la sfiducia, l’incomprensione, il sospetto. La nota maestria esegetica di Martini mostra anche la strada per superare le prove: «In esse ciascuno è chiamato a dare il meglio di sé, e passando per sofferenze e oscurità molto pesanti si può raggiungere una straordinaria purificazione». Preziose parole di sapienza nelle difficoltà di questo tempo.
La sempre più rilevante presenza di sacerdoti stranieri ha modificato la fisionomia di un gran numero di diocesi occidentali proponendo sfide inedite. Il fenomeno, molto diffuso nel nord Europa, riguarda anche l’Italia, dove sono presenti oltre 3000 sacerdoti stranieri. L’importante studio del prof. Arnaud Join-Lambert, docente di Teologia pastorale e Liturgia presso l’Università Cattolica di Lovanio, analizza le problematiche che questa significativa presenza pone sia nella pastorale parrocchiale sia nel presbiterio diocesano. Il focus dell’indagine riguarda alcune Chiese nordeuropee, ma ha un interesse indubbio anche per il nostro Paese. La riflessione affronta anche tematiche di prospettiva, interrogandosi sull’entità di una ragionevole presenza di clero straniero, sulla durata ideale del suo servizio e sulle difficoltà relative all’incardinazione. Tuttavia, conclude il prof. Join-Lambert, questa presenza, in alcuni contesti diocesani ormai necessaria, avrà senso solo se affrancata da un profilo sussidiario: «Checché ne sia, l’avvenire pastorale a medio termine in un buon numero di diocesi in Occidente non potrà darsi senza i sacerdoti stranieri, che in esse servono con entusiasmo e impegno. Al di là delle sfide chiaramente identificate, essi devono essere associati alla co-costruzione della Chiesa di oggi e di domani da parte di tutti i battezzati».
Con questo saggio teologico torniamo sui temi del prossimo Sinodo, affrontando il delicato tema del rapporto fra fede e matrimonio. L’autore, don Andrea Bozzolo, docente di Teologia sistematica presso la Facoltà teologica di Milano, sostiene che questa problematica, pur non essendo esplicitamente al centro del dibattito sinodale, sia fondamentale per chiarire numerose difficoltà dottrinali. L’attuale assetto della dottrina e della disciplina circa il rapporto tra fede e matrimonio è esposto al rischio di pensare in modo estrinseco fede e consenso matrimoniale, aprendo così a livello pastorale vistose divaricazioni: «Ci si può insomma sposare sacramentalmente anche senza fede e senza amore; ma poi, a motivo del vincolo sacramentale, si è impegnati a vivere, eventualmente fino all’eroismo, un amore oblativo conforme all’Eucaristia». Sulla scorta di autorevoli indicazioni magisteriali, l’articolo invita a superare tale ambiguità riconoscendo due requisiti ‘minimi’ – ma dalle evidenti ricadute pastorali – per accedere al matrimonio cristiano: il «volere essere congiunti da Dio e inclusi nella fede della Chiesa. La prima condizione si manifesterà come desiderio della benedizione divina, affidamento alla sua protezione, invocazione del suo aiuto; la seconda come disponibilità a essere accompagnati dalla comunità ecclesiale a scoprire e vivere il senso del matrimonio cristiano».
Papa Francesco ha raccolto in questi due anni di pontificato uno straordinario riconoscimento in termini di simpatia e popolarità. Si tratta di un consenso che travalica le appartenenze culturali, politiche e persino religiose, un fenomeno che induce a riflettere sul suo significato per la vita ordinaria delle comunità parrocchiali. Don Alberto Carrara, parroco e già Delegato vescovile per la cultura e gli strumenti di comunicazione sociale della diocesi di Bergamo, sottolinea l’originalità del magistero di un Papa che si propone soprattutto come pastore e mette al centro del proprio agire una comunicazione di taglio pastorale: «La comunità parrocchiale si trova così ad avere a che fare con un Papa […] che, con il suo atteggiamento da pastore, rivaluta la pastorale delle comunità locali». Ma questo non può bastare alla parrocchia: «La vasta simpatia che la figura di Papa Francesco suscita ovunque è una positiva e rassicurante risorsa. Ma essa non basta. Al di là di essa, resta da costruire, sul territorio dove si vive, con tutte le fatiche che sappiamo, la Chiesa, con le sue relazioni, le sue liturgie, la sua carità, la fattiva apertura al mondo e alle sue “periferie”».