Pubblichiamo il testo di un bell’intervento che Enzo Bianchi, priore della Comunità monastica di Bose, ha recentemente rivolto a un’assemblea di presbiteri. La ricca meditazione, che riprende un tema decisivo della spiritualità sacerdotale, sia pure un po’ dimenticato in questi anni, fa risaltare la bellezza della vocazione cristiana alla santità nel quadro del rinnovamento dell’ecclesiologia e della spiritualità operato dal Concilio. La riflessione addita ai presbiteri due riferimenti fondamentali: luogo della santificazione è anzitutto il proprio ministero, vissuto nell’esperienza del sostegno di Cristo e della sua Parola; la santità cristiana è santità di uomini e donne concrete, è santità nella carne. Il cammino di santifi cazione vuole quindi un cammino di umanizzazione: «La santificazione non chiede una fuga dalla storia o dall’umanità ma, al contrario, quando è autentica si mostra addirittura generatrice di storia, di relazioni. Sì, la santità è essenzialmente una questione di relazioni!».
Il modesto dibattito odierno intorno al carisma di insegnamento dei
vescovi e all’infallibilità sembrerebbe indicare che esso non costituisce
problema; mentre sembra esserlo il modo di esercizio del ruolo
magisteriale: cosa signifi ca per il vescovo essere ‘maestro nella fede’,
al di là del compito strettamente dottrinale? A questo interrogativo
cerca di rispondere don Giampietro Ziviani, docente di Ecclesiologia
presso la Facoltà teologica del Triveneto (Padova), proponendo una
interessante rifl essione sulla complessità dei passaggi richiesti dalla
recezione di un’indicazione magisteriale. Questa messa a fuoco
evidenzia la diffusa illusione secondo la quale, quando una verità è
affermata (magistero dogmatico) o una indicazione pastorale è data,
essa viene automaticamente compresa (secondo passaggio) e creduta
o vissuta (terzo passaggio). In particolare l’Autore si sofferma sul
necessario spazio che la parola magisteriale deve garantire rispetto
alla fede in Cristo, non formulando la proposta in termini esaustivi
di domanda-risposta, ma come invito all’interiorità, all’abbattimento
degli idoli vani: proposta di un dono che si affi da alla libertà dei singoli
e alla loro capacità di discernere i modi storici della vita buona
e della cura comunitaria.
L’intervento di don Franco Manzi, docente di Esegesi presso la
Facoltà teologica dell’Italia settentrionale (Mi), intende mostrare
come la missione della Chiesa primitiva, pur tra tante lentezze, diffi -
coltà e scontri, si sia contraddistinta ben presto per la sua apertura
universalistica, accantonando una concezione tendenzialmente ‘etnica’
della salvezza. Fondamento e principio di questo movimento
è l’agire stesso di Gesù che, se non evangelizzò di persona i pagani,
incentrò il suo evangelo su «una carità senza confi ni, fondamento
di ogni missione universale autentica». Pertanto, la missione della
Chiesa, originata essenzialmente dalla missione nel mondo del Figlio
di Dio e tuttora animata dal suo Spirito, trova in questo dinamismo
un principio ispiratore decisivo dei tentativi attuali d’inculturazione
dell’evangelo.
Si è concluso da poco il VII Incontro Mondiale delle Famiglie, evento
che ha avuto particolare risonanza per la Chiesa milanese e italiana.
Diradato il comprensibile entusiasmo di quei giorni, sembra utile
una rifl essione che raccolga quanto accaduto e cerchi di sottolineare
le ricchezze lasciate. Svolgono queste rifl essioni Alfonso Colzani
e Francesca Dossi, coniugi che da tre anni sono responsabili del
Servizio diocesano per la famiglia della diocesi di Milano. La natura
pastorale di questo incarico segna anche il taglio delle analisi presentate,
che hanno come obiettivo una valutazione della ricaduta
pastorale dell’IMF, evento che ha rappresentato una grande iniezione
di fi ducia per la Chiesa e la constatazione del radicamento della famiglia
come patrimonio universale, oltre ad aver lasciato un contributo
altissimo di rifl essione. La diocesi milanese ne ha benefi ciato in
modo particolare, ritrovando un tessuto di relazioni ecclesiali e civili
rafforzato e allargato.
Considerata la profonda crisi in cui il sacramento della penitenza oggi
si trova, pare utile segnalare la recente pubblicazione di un saggio assai
attento all’esercizio pratico del ministero del prete in questo delicato
ambito pastorale1. Lo presenta don Marco Paleari, docente di
Teologia sacramentaria presso il Seminario di Venegono (Mi), sottolineando
il carattere «professionale» di un libro che intende rileggere
il senso dell’amministrazione del quarto sacramento alla luce della
concreta relazione pastorale del presbitero con la comunità. Questa
è la condizione per poter assumere un ruolo di accompagnatore del
discernimento morale, provocando criticamente il fedele alla crescita
e alla cura della discretio moralis. Vengono così superate in radice
«le immagini di un prete che indicherebbe i peccati alla sua gente
con lo stile dell’“insegnante delle regole” o del “custode del diritto”,
occupandosi poi semplicemente dell’“esame” o del “giudizio”».