Come evitare che la parola ‘solidarietà’, così essenziale al lessico
cristiano, venga estenuata da un suo uso retorico e sentimentale, o,
peggio ancora, sia utilizzata come maquillage di pratiche predatorie
del capitalismo? A questa domanda intende rispondere la conferenza
che l’Arcivescovo di Milano, S.E. card. Angelo Scola, ha tenuto nella
cattedrale parigina di Notre-Dame il 26 febbraio scorso sul tema
«Etica cristiana e vita in società» all’interno di un ciclo intitolato:
«La solidarietà, esigenza etica e speranza spirituale?». Il card. Scola
sviluppa il discorso a partire dalla «prospettiva architettonica» di
Benedetto XVI che lega in un quadro coerente quattro categorie-chiave della Dottrina sociale della Chiesa: solidarietà, bene comune,
sussidiarietà e dignità umana. In particolare, condizione indispensabile per poter riannodare i legami della solidarietà è quel ‘bene
comune’, le cui coordinate vanno smarrendosi nell’odierna società
secolarizzata e pluralista, dove la ragione non è ritenuta capace di
conoscere la realtà e di stabilire valori comuni condivisi. Uno spazio
pubblico vitale non può però rassegnarsi alla pura coesistenza irrelata delle differenze culturali, ma ha da mettere in gioco una ‘narrazione reciproca’, cioè il racconto del signifi cato delle diverse esperienze
secondo una logica di mutuo, seppur faticoso, riconoscimento. In
quest’opera, un Cristianesimo consapevole della propria responsabilità storica ha molto di decisivo da dire e da fare, soprattutto dentro
l’attuale crisi economico-finanziaria globale, additando un «nuovo
ordine economico-produttivo, socialmente responsabile e a misura
d’uomo», come afferma la Caritas in veritate.
L’articolo di Mauro Magatti (preside della facoltà di Sociologia
dell’Università Cattolica e membro della Redazione) propone una
lettura originale e persuasiva della drammatica crisi che l’Occidente sta vivendo, sotto la spinta del nichilismo tecno-capitalista. Negli
ultimi trent’anni esso ha in modo sempre più veloce caratterizzato
la nostra società in senso materiale, quantitativo, individualistico e
acquisitivo. Al cuore della sua visione del mondo sta una sofi sticata
concezione neo-materialista, che ha trovato un clamoroso riscontro
pratico e un vettore formidabile in quella realtà virtuale che si è diffusamente insediata in noi attraverso i nuovi media. La crisi odierna,
afferma Magatti, non è semplicemente economica, ma è piuttosto
una crisi di senso, una crisi spirituale. Il suo superamento esige che
sia ripensato in radice il fondamento della vita, riconoscendo il primato della sua «eccedenza spirituale e qualitativa, espressiva e relazionale».
L’articolo che qui pubblichiamo ha un forte timbro autobiografico. Il
priore di Bose racconta infatti come ha vissuto la messa negli anni
precedenti la riforma liturgica. Molti lettori apprezzeranno queste
pagine dense di memoria e ricche di suggestioni, riconoscendo se
stessi nella testimonianza di Enzo Bianchi. Vi traspare tutto l’affetto
verso una forma liturgica che è stata alimento spirituale imprescindibile nella prima parte della sua vita. Insieme, il testo evoca anche il
passaggio alla nuova forma della messa, successiva al Vaticano II, con
i suoi innegabili arricchimenti (in particolare la lingua e il lezionario)
e taluni difetti (nel canto liturgico). L’Autore riconosce nella riforma
«soprattutto la continuità, la tradizione che si accresce e si rinnova
per non morire o decadere, ma che sa sempre conservare la stessa
messa, la stessa alleanza tra Dio e il suo popolo».
Mons. Franco Giulio Brambilla (da molti anni membro della Redazione
e poi della Direzione della Rivista) ha iniziato il suo ministero episcopale nella Chiesa di Novara il 5 febbraio scorso. Il discorso di
ingresso, che qui riportiamo quasi integralmente, mette in luce ciò
che più gli sta a cuore nello svolgimento del suo compito pastorale,
effi cacemente evocato dalla parola ‘ospitalità’. Essa esprime uno stile
di Chiesa attuale e pertinente in questo tempo, come mostrano eloquentemente i cinque requisiti a cui mons. Brambilla allude perché la
Chiesa possa davvero confi gurarsi come una casa accogliente: anzitutto e fondamentalmente la custodia dello spazio santo del mistero
di Dio (la Parola e l’eucaristia); poi l’amore appassionato e fedele per
la comunità cristiana; il riconoscimento della feconda pluralità dei
‘volti’, dentro e fuori la Chiesa; l’assunzione cordiale dell’‘alfabeto’
della vita umana; la coltivazione della speranza in un’epoca di ‘passioni tristi’. Ne emerge una persuasiva fi gura di pastore e insieme
un ‘programma’ ricco di senso, sicuramente capace di suscitare le
energie per una rinnovata stagione di Chiesa.
Questa seconda parte dello studio di don Bruno Bignami, sacerdote diocesano di Cremona e docente di Teologia morale presso lo
Studio Teologico Interdiocesano e l’ISSR di Crema-Cremona-Lodi-Vigevano, mostra come l’esistenza eucaristica di Gesù rappresenti
una grande scuola sul senso del mangiare. Gesù non è solo il Dio che
prepara una mensa, ma addirittura offre se stesso come cibo; per
questo nella tradizione cristiana solidarietà conviviale comunitaria e
partecipazione al corpo e al sangue di Cristo si saldano, ponendo le
premesse per una riflessione etica che ha trovato autorevole rilancio nel magistero sociale degli ultimi cinquanta anni. Nel percorso
tratteggiato dall’Autore si comprende come il rapporto dell’uomo
con la terra e i suoi frutti evochi i grandi temi della giustizia sociale
e dell’antropologia relazionale. Riflettere sulla problematica del cibo
rappresenta quindi una grande occasione per riprendere l’interrogativo etico su come promuovere concretamente la fraternità: in
rispettoso rapporto col territorio, nella denuncia di logiche di ingiustizia condivise, in una consapevole educazione al consumo, nel non
dimenticare, infine, che il senso più vero del pane sta nel poterlo
spezzare con qualcuno.
I cambiamenti a cui di fatto è soggetto il ministero del sacerdote
diocesano provocano forti tensioni nel vivere quotidianamente un
«mestiere» che oggi è diventato non ovvio. Oggetto di studio della sociologia e della teologia, questo fenomeno inedito nella storia
della Chiesa assume fisionomie diverse secondo i contesti. In Italia il
processo non interessa in egual misura tutte le diocesi, tuttavia molti
indicatori segnalano un avvicinarsi della nostra situazione a quelle
in atto ormai da decenni nelle Chiese nordeuropee. Appare quindi
di grande interesse il contributo del prof. Arnaud Join-Lambert, docente di Teologia pastorale e Teologia presso l’Università Cattolica
di Lovanio, la cui riflessione descrive le grandi problematiche che la
progressiva scomparsa della cristianità come modello sociale pone
all’identità del ministero sacerdotale. Il cambiamento, già avvenuto
e ancora in corso, viene descritto come un passaggio del sacerdote
«dall’onnipresenza alla discrezione, e dall’onnipotenza alla proposta».
Si tratta di una radicale mutazione di paradigma nel pensarne la figura e l’azione pastorale, che l’Autore affronta apertamente a partire
dalle acquisizioni dei Concili Laterano IV, Tridentino e Vaticano II, per
approdare alla proposta di «una spiritualità e una pastorale pasquale».
Scelta che si impone come una necessità vitale per poter abitare con
speranza e perseveranza la missione della Chiesa nella società occidentale europea, e leggere in questa sfi da un deciso invito a valutare
il mutamento da un punto di vista teologico e a reagirvi in modo
spirituale.