Si avvicina il VII Incontro mondiale delle famiglie, e in molte comunità
sta entrando nel vivo il ‘percorso di avvicinamento a Milano’, raccomandato
da Benedetto XVI nella lettera di indizione: «L’evento, per
riuscire davvero fruttuoso, non dovrebbe però rimanere isolato, ma
collocarsi entro un adeguato percorso di preparazione ecclesiale e
culturale». La raccomandazione ha trovato un autorevole riscontro
nelle dieci catechesi preparate dal Pontifi cio Consiglio per la
Famiglia in collaborazione con la Diocesi di Milano. Pensiamo quindi
di fare cosa gradita e utile nel pubblicare questa rifl essione di S.E.
mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara e co-presidente
del Comitato scientifi co preparatorio del Congresso Teologicopastorale
del VII Incontro, con cui presenta la trama di signifi cati
indicati dal titolo Famiglia: lavoro e festa. Esso non indica la giustapposizione
di tre realtà, ma vuole cogliere la complessità delle relazioni
famigliari nella tensione fra l’abitare il mondo (il lavoro) e l’umanizzare
il tempo (la festa). Le catechesi procedono così dalla considerazione
della vita quotidiana per aprirla al mondo, insistendo sulla
famiglia come luogo di liberi legami, e vogliono invitarla a un attivo
rinnovamento sia dei propri equilibri interni sia dei modi della sua
presenza nella società.
L’esplicito invito al discernimento che i vescovi italiani rivolgono alle
loro Chiese negli Orientamenti pastorali per il decennio in corso rappresenta
un appello a produrre un’interpretazione, realistica e spirituale
insieme, del contesto nel quale ci troviamo a vivere. Don Luca
Bressan, docente di Teologia pastorale presso la Facoltà teologica
dell’Italia settentrionale e membro della redazione della Rivista, fa
proprio questo invito cercando le ragioni dell’attuale mancanza di
una lettura del presente, capace sia di unifi care un corpo ecclesiale
smarrito e frammentato sia di dargli le energie per immaginare
un futuro praticabile. Dopo aver delineato struttura e luoghi del
discernimento, cerca di proiettarlo nel processo della ‘nuova evangelizzazione’
che chiede alla Chiesa di saper abitare questo nuovo
clima culturale in modo propositivo: mantenendo lucidità, elaborando
letture e giudizi della situazione che permettono di riconoscere il
bene anche dentro scenari nuovi, individuando così i luoghi a partire
dai quali dare nuova vitalità al proprio impegno missionario ed evangelizzatore.
Il rinnovamento auspicato signifi ca quindi «riuscire ad
avere delle comunità cristiane che vivano sempre meno la propria
fede come un presupposto e invece facciano della loro esperienza
di Dio il centro del proprio esserci», ma ciò non può in alcun modo
essere «frutto di un semplice atto di volontà, bensì il risultato di una
seria azione di discernimento».
Il piccolo libro di Rut ha richiamato molti lettori in questi ultimi anni,
attirati dalla narrazione di una vicenda carica di grande umanità, dove
la discreta presenza divina si muove sottotraccia, nascosta nell’agire
giusto dei protagonisti. La lettura che ne fa Luciano Manicardi,
monaco di Bose, mira a sottolineare come le dinamiche di redenzione
si realizzano nella storia attraverso le azioni degli uomini. Dio
appare così misteriosamente all’opera nelle pieghe della vita e della
responsabilità umana. Questa chiave interpretativa integra la lettura
che tendeva ad assorbire la ricchezza della vicenda narrata dal libro
di Rut nel tema messianico della discendenza davidica, evidenziando
la centralità dell’agire umano, e in particolare femminile: «Potremmo
dire che la nascita del Messia David è preparata da una pratica di
umanità in cui giustizia e bontà si incontrano e si abbracciano. Sulla
scia dell’interpretazione cristiana tradizionale leggeremo Rut come
libro che dice qualcosa sulla prassi messianica come prassi di umanità».
Il compito di ripensare l’iniziazione cristiana può essere paragonato
a quello della ristrutturazione di una casa antica e ormai invecchiata,
«non per rimettere in valore il suo pregio di antichità (la tradizione)
ma per renderla abitabile per gli inquilini di oggi. I quali, tra l’altro, non
hanno nessuna intenzione di uscire da essa nel tempo della ristrutturazione
». Con questa immagine fr. Enzo Biemmi, FSF, Presidente
del Gruppo catecheti europei e Direttore dell’ISSR di Verona, sintetizza
la complessità dell’annuncio nei paesi di antica cristianità. Il suo
intervento si propone di restituire le convinzioni maturate durante
questi ultimi anni in Italia nei processi di sperimentazione che hanno
cercato il superamento del tradizionale ‘catechismo’ scolastico
settimanale, sintetizzandole in tre punti di convergenza: la convinta
scelta della triplice prospettiva missionaria, iniziatica e antropologica;
il recupero della centralità della comunità ecclesiale e della famiglia
nell’iniziazione cristiana dei ragazzi; la presa in carico da parte di un
gruppo variegato di persone del compito complesso dell’iniziazione
cristiana. Tuttavia, sottolinea l’Autore, per potersi affermare, queste
acquisizioni richiedono a loro sostegno un appoggio convinto dei
vescovi, l’assistenza della rifl essione catechetica, la loro disponibilità
a resistere e durare nel tempo: le sperimentazioni sono infatti oggi
piccola cosa, rispetto all’impianto dominante in Italia, ancora fortemente
tradizionale.
La resurrezione della carne, articolo del credo della Chiesa, in passato
ha certo goduto di maggior interesse da parte della teologia e
della fede dei cristiani. Oggi la demitizzazione delle immagini escatologiche
sembra aver portato a una caduta d’immaginazione a cui
è seguita una certa afasia teologica. Don Aristide Fumagalli, docente
di Teologia morale nel Seminario Arcivescovile di Milano, offre un’arguta
incursione nel campo dei novissimi proponendo di ripensare
biblicamente il signifi cato della resurrezione dei corpi alla luce di ciò
che soprattutto, per noi oggi, il corpo indica: la possibilità della relazione.
In questa visione, perdere il corpo con la morte fi sica o con il
peccato, signifi ca perdere la possibilità della relazione. Così la resurrezione
dei corpi può essere compresa, in sintonia con il signifi cato
che la nozione di carne riveste nell’antropologia biblica, come l’atto
con cui Dio ridona all’uomo la possibilità di relazione perduta: essa
«non riguarda perciò una parte, quella fi sica, dell’uomo, ma l’uomo
integrale nella sua relazionalità».