La prossima celebrazione del 50° anniversario del Vaticano II segna
un passaggio importante nella storia della sua ricezione: usciti ormai
di scena i protagonisti che hanno ‘fatto’ il Concilio, si apre la delicata
fase del passaggio della sua eredità alle nuove generazioni. ll prof.
Gilles Routhier, docente alla facoltà di Teologia dell’Università Laval,
Québec, mette a fuoco le condizioni che possano rendere effettivo il
passaggio di un lascito così impegnativo: anzitutto superando la tentazione
di ridurre il Concilio a un insieme di testi da conoscere e da
trasmettere alla nuova generazione come un deposito inalterato, ma
valorizzandolo «come modo originale di rifl essione e come atteggiamento
fondamentale, una maniera d’impadronirsi delle questioni
di un’epoca e un metodo per pensare nella fede». Per mantenere
questo livello sostanziale di trasmissione, sottolinea il prof. Routhier,
è necessario «riprendere una lettura degli insegnamenti conciliari
includendo l’orizzonte d’attesa del nuovo pubblico-lettore». Senza
questa attenzione l’interesse per il Concilio declinerà irrimediabilmente
e la sua eredità andrà gradualmente a perdersi. Il testo costituisce
l’Introduzione al volume di G. Routhier, Un Concilio per il XXI
secolo, di imminente pubblicazione presso Vita e Pensiero.
In questa rivisitazione interpretante del pensiero di Antonio Rosmini,
il vescovo di Novara mette in risalto la ‘genialità’ della visione che il
Roveretano aveva della famiglia, pur nei suoi inevitabili limiti storici.
Dopo avere delineato in modo sintetico ed effi cace i tratti socioculturali
fondamentali che connotano in modo problematico la famiglia
odierna (la separazione tra famiglia e società, e la divaricazione
tra sentimento e decisione), mons. Brambilla mette in risalto i due
contributi sorprendentemente attuali di Rosmini sulla famiglia: la necessità
di pensarla come istitutiva del rapporto sociale, invece che
confi narla nell’ambito del privato, e il rapporto intrinseco tra la relazione
coniugale e la generazione dei figli, il dono a cui ultimamente
è destinata la relazione uomo-donna.
Presentiamo una approfondita interpretazione della pericope dell’«unico
pane» che grande importanza riveste nell’economia narrativa del
vangelo di Marco. Ne è autore Alberto Pe, giovane biblista della diocesi
di Lodi, che, dopo una presentazione esegetica del brano, propone una
sua lettura articolata secondo la struttura narrativa in sei sequenze.
Il testo marciano, sotto una superficie letteraria lineare ed essenziale,
nasconde una ricca rete di riferimenti sia al contesto ravvicinato del
racconto sia a quello più ampio dell’intero Evangelo. Dalla concretezza
del dato narrativo emerge il suo valore simbolico, oltre che tale una
comprensione profonda del kerygma cristologico.
La riforma delle comunità pastorali avviata nella diocesi di Milano a
partire dal 2006 sta cambiando il volto e la vita quotidiana di non
poche comunità parrocchiali. Ma non solo. La riforma della struttura
e dei ruoli determina cambiamenti ad un livello più profondo, quello
della identità dei soggetti che rendono vive le strutture comunitarie:
i preti, i fedeli laici, i religiosi e le religiose impegnati nella pastorale
parrocchiale. Con tutte le sue opportunità, ma anche i suoi rischi,
che qui emergono dalle esperienze analizzate, Don Paolo Ciotti, sacerdote
milanese laureato in psicologia, coinvolto in prima persona
in questa riforma pastorale, ne ha studiato i risvolti nella sua tesi di
laurea, di cui qui pubblichiamo alcuni stralci. Guidata dall’ottica sistemica,
che nelle scienze umane individua ogni elemento come parte
di un tutto e ne analizza la reciproca interazione, la ricerca suppone
che i cambiamenti delle strutture della pastorale in corso avranno
sempre più un impatto sul ruolo e sull’identità vocazionale degli
operatori pastorali e propone alcune tesi circa il volto del clero che
il nuovo assetto organizzativo prefigura.
Nel quadro del rinnovato interesse per il pensiero del grande teologo
inglese seguito alla sua beatifi cazione, pubblichiamo un interessante
studio sulla dimensione immaginativa del credere. Il tema
acquista oggi particolare significato sia per l’affinità del nostro clima
culturale con quello dell’epoca di Newman sia per la centralità che
la riflessione sulla fede avrà nel prossimo anno. L’Autore, presbitero
della diocesi di Padova, sottolinea infatti come l’immaginazione per
Newman sia strettamente legata alla fede, sia ciò che «realizza, cioè
rende esistenziale, vitale il credere»; essa descrive tutto «il dinamismo
della conoscenza, del giudizio-decisione e dell’actus-affectus fidei». È
quindi nell’immaginazione che si giocano le dinamiche di accoglienza-
rifiuto, decisione-distacco tra il soggetto e la realtà, tra l’uomo
e Dio. L’immaginazione è pertanto una dimensione essenziale della
fede, da abitare con la rifl essione e la prassi: «curando, guarendo ed
educando l’immaginazione potremo continuare a credere».