La prossimità di Gesù e i limiti del sacro
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Si è svolto a Roma, nel febbraio scorso, il convegno promosso dal
Progetto Culturale della CEI Gesù nostro contemporaneo. A mons.
PierAngelo Sequeri (vice-preside della Facoltà teologica dell’Italia
Settentrionale e membro della redazione della Rivista) è stata affidata la relazione d’apertura della seconda giornata di studi, che qui
pubblichiamo. L’intervento ha suscitato molti echi a motivo delle
penetranti intuizioni che segnano una lettura tutt’altro che scontata
dei motivi della contemporaneità di Gesù a questo nostro mondo
postmoderno e globalizzato. Essa viene infatti ritrovata nello spirito
di prossimità che fa del cristianesimo «l’unica forma della religione
che istituisce la prossimità dell’uomo con l’uomo alla stessa altezza
della prossimità di Dio con l’uomo (“L’avete fatto a me”)». Questo
principio si propone quale radicale criterio critico sia rispetto alle
recenti ambivalenze e trasformazioni del sacro presenti nelle derive
integraliste della religione, sia nei confronti dell’«epidemia narcisistica
nel post-moderno», un’evidente negazione di quello spirito cristiano
che l’Occidente per secoli aveva fatto proprio. L’interrogativo
sulla contemporaneità di Gesù andrebbe – afferma Sequeri – paradossalmente
rovesciato, rivolgendolo «alla civiltà che se n’è fino a
ora più direttamente nutrita: non senza farne tesoro, germogliando
un umanesimo dei legami del quale ancora si vanta, mentre lo sta
perdendo. Come siamo scivolati tanto al disotto di quella contemporaneità?»
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