La spiritualità si nutre di semplicità, il suo sguardo sa cogliere la profondità e trarre luce anche dalla quotidianità più residuale. Ne parla la bella riflessione che il cardinale José Tolentino Mendonça, noto teologo e poeta, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, ha tenuto nello scorso novembre all’Università Cattolica di Milano in occasione del centenario dell’ateneo. Il testo procede dalla semplice pratica del camminare e sugli insegnamenti che essa offre a chi voglia coltivarla nel segno della sobrietà e sia disposto ad affrancarsi da quei falsi bisogni che non di rado ci rendono prigionieri. «È proprio vero – conclude l’autore – che il verbo camminare illumina per noi, a ogni momento, ciò che significa insegnare, trasmettere, comunicare. Camminare è di per sé una pratica di ospitalità. […] Da quanto tempo non benediciamo più i sentieri che ci danno la coscienza di essere noi la nostra stessa marcia?».
Lo scorso settembre si è tenuta a Varsavia un’importante conferenza internazionale che ha affrontato il tema degli abusi sessuali del clero nell’area delle nazioni ex comuniste dell’Europa centrale, in un primo momento ritenute estranee alla piaga. In quella sede è intervenuto Tomáš Halík, sacerdote e professore di Sociologia della religione alla Charles University di Praga, considerato uno dei maggiori intellettuali cattolici viventi. Il suo vibrante discorso ha sostenuto che solo una profonda riforma può salvare la Chiesa istituzionale: lo scandalo dei preti pedofi li ha devastato migliaia di vite e portato alla luce una crisi di fede paragonabile a quella che accese la scintilla dello Scisma d’Occidente, alla quale deve essere data una risposta adeguata. A suo avviso occorre una nuova interpretazione del ruolo della Chiesa nella società contemporanea, «non solo cambiare le strutture, ma anche la mentalità, per cambiare la cultura relazionale all’interno della Chiesa».
Da vent’anni Carlo Maria Martini ha lasciato la guida della Diocesi di Milano e da dieci il suo percorso terreno. I riverberi del suo importante ministero episcopale continuano però ad agire con forza. Lo attesta lo studio di Silvia Meroni, religiosa appartenente alle Ausiliarie diocesane milanesi, che si è a lungo occupata del tema per il suo lavoro di tesi magistrale. Martini dovette occuparsi di terrorismo soprattutto nei primi dieci, drammatici, anni del suo episcopato e lo fece con una particolare energia e dedizione, mediante pronunciamenti pubblici e con iniziative private. Il saggio descrive questa complessa azione, leggendo come in essa si sia realizzato un attento discernimento del momento storico, letto attraverso la Parola, approccio che mantiene inalterata la sua attualità e si pone come stimolo e riferimento per lo stile episcopale odierno. Martini incontrò vittime e assassini, sempre nella prospettiva di una transizione verso il depotenziamento della violenza, ma soprattutto si prese a cuore le vittime, nella convinzione che, se resta irrinunciabile sul piano costituzionale perseguire con impegno la via del recupero e della conversione di chi, come i terroristi, aveva scelto la strada della distruzione della vita altrui, rimane tuttavia aperto il tema della marginalizzazione delle vittime della violenza e della loro cura pastorale.
Lo studio di Arnaud Join-Lambert, docente di Teologia pastorale presso l’Università cattolica di Lovanio, prende in esame i concili provinciali, eventi rari della vita ecclesiale odierna ma attestati e riconosciuti come importanti sin all’antichità, nuovamente previsti dal Concilio Vaticano II come strumenti atti ad accrescere lo spirito di collegialità. L’Autore in questa prima parte dello studio propone un breve excursus storico al fine di mettere in rilievo la quasi scomparsa post-conciliare dell’istituzione del concilio provinciale che era il riferimento antico della governance episcopale supra- diocesana. Nella seconda parte dell’articolo (che verrà pubblicata sul prossimo fascicolo), l’Autore analizza il concilio provinciale di Lille (-Arras-Cambrai), unico concilio stricto sensu celebrato nel mondo francofono dopo il Vaticano II. L’analisi del caso francese permette di evidenziare come la sinodalità dispiegata in un concilio provinciale permetta il rafforzamento della Chiesa locale, del suo episcopato e della Chiesa intesa come popolo di Dio e tempio dello Spirito: «È un’opportunità offerta per la ricezione del concilio Vaticano II e per la missione. Se “proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio”, allora il concilio provinciale ne è una espressione concreta da osare».
La rubrica Esperienze pastorali si apre con la recensione di un'iniziativa promossa dalle pastorali giovanili delle Diocesi lombarde. L’iniziativa si è voluta chiamare Giovani e vescovi. Un dialogo sinodale che porta frutto. Il percorso, tutt’ora in fase di svolgimento, è strutturato in forma di dialogo tra 200 giovani lombardi e i vescovi delle loro diocesi. Esso si sviluppa anzitutto a partire dalle provocazioni offerte dall’esortazione apostolica di papa Francesco Christus vivit sulla questione giovanile. Il confronto si sviluppa poi come occasione di vicinanza dopo il difficile tempo della pandemia, del cui clima hanno particolarmente sofferto i giovani. Questa iniziativa, inoltre, è collocata nella cornice della sfida sinodale proposta da Francesco alla Chiesa italiana. Gli autori del contributo sottolineano come il metodo sinodale sia decisivo, anche nel passare all’idea che sia il momento per i giovani di ‘aver titolo’ di protagonismo nella proposta pastorale, anziché essere considerati solo fruitori, co-attori di un processo di vita e capaci di ‘prendere parola’ come segno di una dignità riconosciuta e di una competenza autentica.
La rubrica Terza pagina si arricchisce della presentazione dell’ultimo saggio di Pablo d’Ors, prete spagnolo, narratore e saggista, membro del Pontificio Consiglio della Cultura. Il saggio si intitola Biografi a della luce. Una lettura mistica del Vangelo (Vita e Pensiero, Milano 2021, 532 pp., € 25). Ludwig Monti, biblista, ne scrive un appassionato invito alla lettura, facendo a sua volta risuonare nella propria biografia intellettuale e spirituale il carattere sempre più convincente dell’approccio mistico alle Scritture proposto da d’Ors. Nel suo saggio egli «insegna a credere alla luce non nonostante le tenebre, ma anche in mezzo alle tenebre. Nostro compito è imparare a trarre luce dalle tenebre, ad “aspirare vita da dentro la morte”». Cristo infatti, scrive d’Ors, «non è venuto al mondo semplicemente come luce, ma come luce nell’oscurità (Gv 1,5). Questo significa che, per fare l’esperienza di Cristo, per vivere appieno il nostro essere, dobbiamo entrare nella luce, sì, ma anche nell’oscurità. Senza entrambi i poli – luce e tenebre –, non potremo comprendere il mistero dell’origine».