Paolo Ruffini, prefetto per la comunicazione della Santa Sede, offre qui un ricco e originale schizzo delle linee guida che dovrebbero orientare i processi comunicativi cristianamente ispirati correggendo alcune derive che insorgono ogni qualvolta preoccupazioni organizzative prevalgono su quelle ‘comunionali’. La riflessione, lucida e consapevole delle insidie che pure affiorano dalle dinamiche mediatiche, propone i criteri per i quali la comunicazione nella Chiesa, basata su ascolto, incontro e dialogo, può rappresentare una risorsa etica per la comunicazione in generale: «La comunicazione può rimettere in ordine i fatti, secondo memoria e verità, offrendone una lettura profetica. Può svegliare le coscienze. Può proteggere i diritti dei più vulnerabili. Può tenere insieme le comunità. Può aiutarle a incontrarsi in carne e ossa, spirito e verità».
La cultura digitale non è solo una collezione di tecnologie e strumenti, è divenuta un paradigma o una lente attraverso la quale il mondo contemporaneo viene ordinato, interpretato e vissuto; essa crea i nuovi ambienti sociali e psicologici che abitiamo, instaurando una sorta di paradigma tecnocratico che non risparmia il linguaggio e la comunicazione; in questo modo essi possono divenire strumento di potere politico ed economico. Il saggio del prof. Brett Robinson, Ph.D. presso il McGrath Institute for Church Life dell’Università di Notre Dame (Indiana), ispirandosi a Laudato si’ offre gli elementi essenziali per una visione ‘ecologica’ della comunicazione digitale, che si sottragga a un discorso di mera performatività tecnologica. Corporeità, sacrificio, ritualità appaiono dimensioni imprescindibili per una comunità che ambisca a essere realmente comunicatrice. In assenza di tali dimensioni, si può anche dare sovrabbondanza di comunicazione e di contenuti, ma non può essere sostenuta una comunità degna delle sue relazioni, anche comunicative.
Secondo Sergio Manghi, già professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Parma, papa Francesco ha introdotto nella chiesa una sorta di rivoluzione comunicativa. Ha fatto prevalere la funzione fàtica della parola, quella che fa accadere i significati più che trasmetterli e in cui comunicare significa anzitutto far comune, rendendo imprescindibile la dimensione relazionale. In questo contributo, Manghi motiva l’attualità culturale di questa rivoluzione. Essa si pone in alternativa allo schema comunicativo dominante che si basa sull’efficienza di una mera trasmissione in grado di predeterminare, ‘da fuori e dall’alto’, le modalità del nostro interagire quotidiano: «è per questa ragione che il piano della coordinazione relazionale costituisce di fatto, per la prima volta nella storia umana, la vera sfida emergente nei nostri processi comunicativi quotidiani, nel piccolo come nel grande. E con essa, quella sfida della fraternità, come pietra d’inciampo che ritorna senza posa nell’esperienza relazionale quotidiana di ciascun singolo incontro».
L’interpretazione della condizione ‘tecnoumana’ dà luogo a prospettive tutt’altro che univoche. Visioni apocalittiche che presagiscono la fine dell’umanità e delle sue forme sociali convivono con un impiego tecnologico pressoché collettivo e mediamente acritico. Andrea Ciucci, coordinatore di segreteria della Pontificia Accademia per la Vita, offre qui le linee di un discernimento credente sul tema. Vivere umanamente questo tempo significa assumersi, personalmente e socialmente, il dovere dell’educazione che genera consapevolezza degli usi e responsabilità della loro regolamentazione. L’esperienza cristiana può contribuire in modo sostanziale a questo percorso se non si limita a rivendicare uno spazio digitale per le sue attività, ma condivide la sua appassionata expertise antropologica con chiunque abbia a cuore il destino delle donne e degli uomini di questo tempo.
L’intervento di Lucia Capuzzi, giornalista ed esperta di cattolicesimo latinoamericano, offre un interessante approfondimento sul percorso di riflessione compiuto profeticamente da quelle Chiese sui temi della comunicazione, già a partire dalla Seconda conferenza dell’episcopato latino-americano a Medellín (1968), fino all’attuale processo di ascolto sinodale, saldamente fondato sul vincolo tra comunione e comunicazione. La scelta post-conciliare di legare strettamente i media al processo di liberazione integrale dell’essere umano permette, tra le altre cose, di situare nel suo contesto di origine la curvatura specificamente sociale che Francesco attribuisce alla comunicazione, spesso meditata attraverso l’‘icona’ del Buon samaritano, che «pensa e agisce in termini di comunità» divenendo «un autentico comunicatore, nel significato etimologico di mettere e mettersi in comune».
L’esigenza di abitare il mondo digitale con sapienza e stile evangelici, abbozzato nelle sue linee fondamentali nel Messaggio di Francesco in occasione della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali del 2019, ha trovato occasione di sperimentarsi nel progetto Faith Communication in the Digital World, promosso dal Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede. La dottoressa Nataša Govekar, che ne dirige la sezione Teologico-Pastorale, presenta, in questa breve nota, linee ispiratrici, metodo e primi obiettivi raggiunti dal lavoro delle giovani equipe di lavoro che lo animano. In questo modo il Dicastero si propone di partecipare in modo attivo a un processo di creazione dei contenuti che diventi sempre più corale e animato da interazioni digitali che siano umanizzate.
Il conflitto tra Russia e Ucraina, che resta incandescente da quasi cinque mesi, ha fatto emergere implicazioni di natura religiosa che complicano in modo inatteso la situazione sul campo e provocano le nostre più consolidate categorie ecclesiologiche. Padre Lorenzo Prezzi, dehoniano, giornalista e Direttore del blog di informazione SettimanaNews, propone qui un’agile e precisa ricostruzione storica e teologica delle tensioni fra i Patriarcati di Mosca, Costantinopoli e Kiev a partire dagli anni dell’implosione dell’Unione sovietica. Il saggio offre in breve gli adeguati riferimenti storici e teologici per dipanare i termini di un complesso intreccio di posizioni che a occhi occidentali non cessa di apparire di ardua decifrazione. Il contributo chiude recensendo tre questioni ancora aperte, fra le quali spicca quella di un’urgente e adeguata riflessione teologica sulla legittimità del ricorso alla guerra.
Gli interrogativi sulle ‘realtà ultime’ sono rimasti a lungo silenti nella coscienza e nei discorsi delle comunità cristiane, complice anche l’imbarazzo della predicazione e della catechesi nell’affrontare temi teologicamente e culturalmente impegnativi e poco frequentati. Duilio Albarello, presbitero della diocesi di Mondovì, docente di Teologia fondamentale presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale e direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose a Fossano, ritiene che le sofferte esperienze relative alla pandemia e alla guerra in corso offrano un contesto più sensibile e recettivo nel quale la predicazione può riprendere molte questioni teologiche che si trovano al centro della fede cristiana, riguardando la destinazione finale dell’uomo in Cristo. Il contributo si propone così come un agile ma rigoroso e utile sussidio per riprendere i temi escatologici fondamentali.