Giuda ci appare, fin dal Nuovo Testamento, come una figura inquietante e ingombrante. Certo, il racconto evangelico ce lo descrive con i tratti inauditi dell’apostolo intimo di Gesù e insieme del traditore per denaro. E tuttavia i motivi dell’inquietudine sono anche altri. Anzitutto il suo essere parte necessaria del disegno divino di salvezza, stando alla lettera biblica. Ma come è possibile che Dio, il cui desiderio più appassionato è la salvezza di tutti e di ognuno, abbia preordinato la perdizione di Giuda? Più ancora Giuda ci turba perché «era uno di noi». Ciascuno di noi, allora come oggi, trova dentro di sé qualcosa di lui. Ciò suscita in noi apprensione, perché riguarda il nostro stesso destino. Questo approccio originale alla figura dell’apostolo che tradisce ci è restituito dalle intense pagine di Teresa Bartolomei (docente e ricercatrice presso la Facoltà di Teologia dell’Università Cattolica di Lisbona). Con grande acribia esegetica e teologica l’autrice pone al testo biblico domande pressanti, quasi ‘costringendolo’ a mostrare il significato celato nella misteriosa figura di Giuda, che ultimamente rimanda alla misericordia incondizionata e immeritata di Dio. Il testo è tratto, in forma leggermente ridotta, da un capitolo di un recente libro di Teresa Bartolomei, Dove abita la luce? Figure in cammino sulla strada della Parola, pubblicato da Vita e Pensiero.
Il 10 febbraio 1980 Carlo Maria Martini faceva il suo ingresso come arcivescovo nella diocesi di Milano che avrebbe poi retto fino al 2002, lasciando il segno indimenticabile del suo ricco magistero. A distanza di quarant’anni mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara e già vescovo ausiliare a Milano, ricorda con un lucido e appassionato intervento quello che a distanza possiamo sempre meglio apprezzare quale nucleo ispiratore dell’azione pastorale del card. Martini, l’incontro incandescente tra coscienza e Parola: «Credo che tutto il magistero di Martini possa essere riassunto in questo intento: favorire il “meraviglioso scambio” (admirabile commercium) tra la coscienza e la Parola, tra il terreno dell’umano e il seme della Parola. È l’incontro in cui coscienza e Parola, terreno e seme devono perdere qualcosa per arricchirsi reciprocamente».
A cinquant’anni dalla pubblicazione del messale di Paolo VI, vero e proprio simbolo del rinnovamento conciliare, la Chiesa italiana presenta la nuova edizione del Messale romano, «immagine fedele del cammino percorso dal rinnovamento liturgico nel nostro Paese». Goffredo Boselli, liturgista e monaco della comunità ecumenica di Bose, presenta in uno studio dettagliato le novità della nuova edizione che conferma in larghissima parte il testo del Messale del 1983 e offre una migliore e più attenta traduzione di alcune espressioni e di singoli vocaboli. Gli interventi riguardano i casi in cui è stata valutata una reale necessità di intervento e un effettivo guadagno in ordine alla fedeltà al testo latino, alla ricchezza del contenuto, alla qualità letteraria, alla comprensione, alla celebrabilità e cantabilità. La nuova edizione del Messale si propone così come punto di arrivo, ma anche come punto di partenza di una nuova ricerca in campo liturgico che sappia favorire la reale «partecipazione attiva» di assemblee sempre più estranee ai tradizionali linguaggi cristiani, poiché il principio guida della partecipazione «interroga le forme e i linguaggi della liturgia prima e molto più di quanto interroghi l’attitudine di coloro che vi partecipano».
La categoria di discernimento è ormai familiare a larga parte della coscienza ecclesiale grazie al rilevo a essa attribuito da papa Francesco, in particolare in Amoris laetitia. Don Maurizio Chiodi, docente di Teologia morale presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale e ordinario di Bioetica presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, si propone con questa riflessione di illustrare in quattro passaggi l’attualità, la sensatezza e le dinamiche fondamentali che raccomandano oggi l’opportunità di pensare al giudizio morale in situazione come un atto di discernimento. Tale processo permette di andare oltre l’opposizione fra oggettività della norma e soggettività del giudizio del singolo; porta infatti «a superare le ristrettezze sia di un processo meramente deduttivo sia meramente creativo o inventivo». Discernere «implica una circolarità dialettica, secondo una sorta di apprendimento reciproco, tra esperienza e norma, nel suo riferimento al bene [… dove] la coscienza ha un compito ermeneutico: parte dall’esperienza, riconosce l’istanza normativa e incondizionata del bene che in essa si manifesta, e infine ritorna all’esperienza, per discernervi il bene possibile».
Lo scorso 24 gennaio è stato pubblicato il Messaggio di papa Francesco in occasione della Giornata delle comunicazioni sociali 2020, che significativamente sposta l’attenzione dal comunicare al narrare, approfondendo l’originale valore antropologico e sociale di questa attività eminentemente umana. Afferma il Messaggio: «Per non smarrirci abbiamo bisogno di respirare la verità delle storie buone: storie che edifichino, non che distruggano; storie che aiutino a ritrovare le radici e la forza per andare avanti insieme». Mons. Gianni Ambrosio, Vescovo di Piacenza-Bobbio, già vicepresidente della Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea e membro della Direzione della Rivista, propone un’ampia presentazione del testo papale sottolineando come esso si inserisca con intelligenza propositiva nelle problematiche sollevate dalle innovazioni digitali in campo comunicativo. Abbiamo necessità di proporre buone e grandi narrazioni, che sappiano tessere storie che aprono vita e futuro, sul paradigma della storia biblica, storia di storie di liberazione.