Nel linguaggio comune il riferimento al limite si colora di significati ambivalenti e, oggi più che in passato, risente delle sfumature negative che gli assegna l’approccio tecnico all’umano, segnato da una cultura di radicale erosione dei limiti. Eppure, ricorda Luciano Manicardi, Priore della comunità ecumenica di Bose, «la vita è sorta dallo stabilirsi di limiti e confini» e questa evidenza andrebbe recuperata quale fondamento di un’antropologia e di un modello di convivenza sociale consoni alla fisionomia più autentica dell’essere umano. Il saggio si propone quale ‘elogio del limite’, dispiegando un’ampia fenomenologia esperienziale e culturale a sostegno di una serena e positiva relazione con la finitezza, elemento felicemente strutturante tutti gli ambiti dell’esperienza umana. Vita, morte, malattia, corporeità, relazione con l’altro, con la natura, trovano nel «limite che l’altro è, proprio nel suo essere limite, e dunque fragile e vulnerabile, anche lo spazio della relazione possibile, dell’amore, della conoscenza, dell’incontro, dunque di ciò che dà senso a questa nostra vita».
La pubblicazione dell’Esortazione post-sinodale Querida Amazonia è stata accompagnata da attese mediatiche fortemente polarizzate su alcuni temi avvertiti come divisivi, ma poi presto dimenticata a seguito dell’emergenza pandemica. A distanza di qualche mese, lontano dalle polemiche, p. Giacomo Costa SJ, direttore della rivista «Aggiornamenti Sociali» e consultore della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, membro dell’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per la regione panamazzonica, presenta qui il documento per ciò che vuol essere – a partire dagli elementi strutturanti del testo – in modo da favorirne una recezione attenta alla profondità del messaggio che contiene. La piena comprensione del messaggio dell’Esortazione richiede che questo sia collocato all’interno del percorso sinodale di cui fa parte. L’obiettivo a cui Querida Amazonia è finalizzata è infatti «aiutare e orientare verso un’armoniosa, creativa e fruttuosa ricezione dell’intero cammino sinodale» (QA, n. 2), ed è all’interno di questo contesto che va compreso il modo in cui affronta anche le questioni più controverse.
L’esperienza pandemica ha indubbiamente avuto un valore di rivelazione, costringendo a guardare alla realtà da punti prospettici inediti, o forse semplicemente dimenticati, comunque di profondo impatto significativo per la nostra vita. Don Gianni Colzani, noto teologo, docente presso la Pontificia Università Urbaniana, propone in questo suo bel saggio1 un’attenta analisi della matrice culturale messa in discussione dalla crisi del Covid-19, chiedendosi quali ripercussioni questa abbia sul futuro della nostra società e in particolare sulla vita delle Chiese che in essa trovano il substrato vitale. La sfida per il cristianesimo attuale, delineata con passione e lucidità dal magistero di Francesco, si profila come la capacità di «tenere insieme l’ampiezza di un problema che ha messo alle corde un modus vivendi che sembrava consolidato e trionfante con la speranza di un futuro che va ripensato su basi diverse e nuove. Non si tratta di scegliere uno dei due poli ma di tenerli insieme: la consapevolezza delle sfide e il germoglio di un mondo possibilmente diverso».
Si conclude qui l’articolata riflessione sulla formazione alla vita presbiterale e religiosa di Giuseppe Sovernigo, presbitero della diocesi di Treviso, psicoterapeuta, esperto di problematiche giovanili e familiari, a lungo docente di Psicologia e Psicologia della religione in diversi Istituti teologici del Veneto. Dopo aver tratteggiato sullo scorso fascicolo i punti di forza e di fragilità dei giovani che oggi richiedono di accostarsi a percorsi che portano alla consacrazione, la seconda e ultima parte dello studio è dedicata ai ‘cantieri formativi’ che andrebbero opportunamente dedicati alla crescita della personalità dei postulanti. Condizione necessaria, anche se non suffi ciente, in vista della strutturazione di una valida scelta vocazionale nel quadro della formazione di una genuina identità di sé.
L’articolo di don Bruno Bignami affronta il tema del lavoro, oggi così problematico a causa delle pesanti conseguenze economiche della pandemia. Il tema interroga la comunità cristiana che l’Autore, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della CEI, docente di Teologia morale e presidente della Fondazione Mazzolari, auspica impegnata nell’accompagnare una ricostruzione sociale che richiede creatività e apertura fiduciosa all’inedito. La riflessione ripropone, alla luce di una meditazione della ‘parabola del seminatore’, la carica trasformativa dei fondamenti dell’etica sociale cattolica, invitando le comunità cristiane alla consapevolezza del momento storico – «Mentre c’è l’occasione di sanificare il lavoro che soffre per schiavitùoppressione-ingiustizia-discriminazione, la comunità cristiana è solo intenta a sanificare le sacrestie?» – assumendo un ruolo socialmente attivo e progettuale giacché «lavorare è mettersi nelle condizioni di uscire, è creare un mondo nuovo, è fidarsi di una trascendenza che porta a rischiare di nuovo il tempo della semina».