Lo scorso 23 marzo è stato approvato il nuovo Direttorio per la catechesi del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione. Don Mattia Magoni, docente di Catechetica presso il Seminario di Bergamo, presenta qui brevemente punti di forza e snodi critici del documento proposto alla recezione delle Chiese locali. In particolare viene sottolineata la necessità che la catechesi non disattenda l’appuntamento con le istanze odierne, soprattutto quelle determinate dall’inedita cultura digitale che così profondamente sta segnando l’identità umana in questo tempo.
Questo bel saggio di teologia biblica raccoglie l’obiezione che, immancabilmente, a ogni tragedia si leva contro la giustizia di Dio, sospettato di essere in qualche misura responsabile del male che affligge il mondo. Don Franco Manzi, biblista e docente presso la Facoltà teologica di Milano, tematizza quegli interrogativi rifacendosi alla concezione della retribuzione immanente proposta dal profeta Ezechiele, protagonista del dramma politico e religioso dell’esilio babilonese, concezione che trova il suo compimento/superamento nella rivelazione evangelica. «La timida intuizione di Ezechiele sull’auto-punizione dei peccatori e la sua nitida affermazione della responsabilità individuale al cospetto di Dio sospingono la rivelazione biblica verso il superamento di una concezione del Signore quasi fosse una divinità “bifronte” […] Ma sarà solo la rivelazione definitiva di Gesù sul Dio-Abbà univocamente buono che consentirà di respingere senza esitazioni questa tentazione comunque insorgente, soprattutto nelle stagioni crocifiggenti della vita».
In questi mesi la pandemia sembra lasciare respirare più liberamente e si affaccia la tentazione di scordare i tempi di crisi e ricostruire la ‘normalità di prima’. Tuttavia le parole di Francesco citate nel titolo del contributo1 mettono in guardia dal liquidare in fretta un’esperienza che, drammaticamente, ha portato con sé preziosi elementi rivelativi. Stella Morra, docente di Teologia fondamentale presso la Pontificia Università Gregoriana, riprende con acutezza e vigore le parole del Papa articolando in due tesi – teologicamente informate – le provocazioni a pensare maturate nella crisi: da una parte la necessità di andare oltre la logica sostitutiva, che orienta tecnicamente, evitando ogni percorso di conversione, a superare la crisi senza vero cambiamento; dall’altra, l’urgenza di riapprendere la vulnerabilità quale orizzonte pratico che aiuta ad affrontare la realtà da una ‘prospettiva rovesciata’ e più evangelica.
Nel corso del suo lungo episcopato a Milano Carlo Maria Martini ha lasciato, in diocesi ma non solo, una traccia ancora oggi riconoscibile e viva, pazientemente disegnata dal filo continuo delle sue Lettere pastorali. Don Giovanni Cesare Pagazzi, docente di Teologia presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale di Milano e l’Istituto Giovanni Paolo II di Roma, riprende qui in occasione del quarantennale dalla sua pubblicazione la prima e sorprendente Lettera, che spiazzò una città stordita dagli ultimi colpi di coda del terrorismo e già lanciata verso la frenesia di un nuovo consumismo. L’intuizione di Martini fu quella di proporre uno sguardo contemplativo sulla realtà, al fine di neutralizzare la radice mortifera di un attivismo ansioso e creare le condizioni per una radicale alternativa esistenziale: «Già quarant’anni fa il nuovo arcivescovo di Milano intuiva quanto sociologi e filosofi cominciano solo oggi a denunciare come l’esito più pericoloso della società occidentale: un’incessante, continua attività – 7 giorni su 7 e 24 ore su 24 – che produce sonnambuli e sonnolenti, gente incapace di riposare bene e di ben vigilare».
La riflessione di mons. Paolo Martinelli, Vicario episcopale per la Vita Consacrata della diocesi di Milano, disegna un’immagine di prete saldamente radicata in Cristo e nella sua missione, e per questo lontana sia da una sua astratta e statica idealizzazione sia dalla rincorsa a un continuo e inessenziale ‘aggiornamento’ ai mutamenti che segnano la nostra epoca. L’‘oggi’ della missione presbiterale è quindi fattore interno alla logica sacramentale dell’essere inviati. Ne consegue che «quando il presbitero vive la propria missione come dedizione totale al popolo di Dio nella sua concretezza potrà sperimentare la gioia profonda di una vita data, e per questo piena e compiuta, per la quale il popolo stesso di Dio non farà mancare la sua gratitudine».
La nota di Stefano Didoné tratteggia nelle sue linee essenziali il fenomeno del movimento transumanista, una linea di tendenza in rapido sviluppo nella nostra società sempre più segnata dalla tecnoscienza. L’ibridazione uomo-macchina non è più il frutto dell’immaginazione fantascientifica, ma una realtà tecnologicamente praticabile. La Chiesa, e in essa la teologia, è interpellata da questa incombente sfida antropologica, che va anzitutto compresa per poter essere convenientemente contrastata. La ricognizione ragionata di temi e autori di questo movimento ripropone l’ineludibile profilo etico-politico di tale sfida, a cui il pensiero di ispirazione cristiana non può sottrarsi. Il contributo è frutto di un seminario di ricerca sulle sfide per il cristianesimo nella postmodernità, svoltosi nello Studio Teologico di Treviso-Vittorio Veneto, presso cui l’autore è docente.