Dopo cinquant’anni dalla riforma liturgica che ha inteso restituire rilevanza ai luoghi centrali del rito, don Giuliano Zanchi, teologo e segretario generale della Fondazione Bernareggi di Bergamo, propone una acuta e originale riflessione sulle problematiche estetiche e simboliche che accompagnano la comprensione postconciliare del ruolo liturgico dell’altare. La sua potenziale densità simbolica è spesso disattesa nelle nostre chiese, a motivo di scelte estetiche, architettoniche, celebrative e anche teologiche che non evidenziano nitidamente la sua centralità e la complessità di riferimenti che rappresenta. L’altare infatti è un simbolo forte e primordiale, che assomma a questo significato atavico la cifra cristologica della «pietra», scartata e angolare. Ma una tale referenza può mantenere la sua forza «grazie alla conservazione di quella funzione, arcaica e antropologica, che trova nell’altare anche quella sorta di magnete che salda le varie dimensioni dell’esperienza, l’alto e il basso, il sotto e il sopra, i divini e i superni, l’elemento simbolico che tiene insieme le quattro direzioni del mondo, un centro di gravità permanente che detta le direttrici dello spazio a partire da una traccia materiale del trascendente. In questo senso l’altare svolge una funzione magnetica che l’edificio chiesa è chiamato ad amplifi care».
La fatica del fare comunità è tratto tipico del nostro tempo. Molti vivono con forte nostalgia il desiderio di comunità, in un tempo di diaspore, dove si assiste al crescente affermarsi di una «ragione securitaria » che sclerotizza divisioni e lacerazioni. La riflessione di Ivo Lizzola, professore di Pedagogia sociale e di Pedagogia della marginalità e della devianza presso l’Università degli Studi di Bergamo, analizza questo tema oggi così vivo, che interroga con particolare forza le comunità cristiane. L’articolo propone alcune linee secondo le quali ritessere oggi da capo uno ‘spazio comune’: «N on si può costruirlo solo sul diritto, se non come condizione minima. […] uno spazio comune si plasma con la responsabilità, il riconoscimento, la reciprocità e la capacità di autolimitazione. […] La comunità si genera continuamente e prende forma nelle esperienze di soglia che fa nascere e che alimenta. Sono esperienze di passaggio e di transizione, di accompagnamento e di ‘zona franca’, di sperimentazione e di anticipo di modi di vivere: in esse si condividono spazi, risorse, tempi, affetti, tutele».
Quando si scontra con la sofferenza, la fede del credente viene inevitabilmente messa in questione e con essa la saldezza dell’immagine di un Dio provvidente e vicino. Accade allora che nella preghiera lo scettico che alberga nel nostro stesso cuore lotti col credente, che pure siamo noi. Le parole del Salmo 22 riecheggiano questa esperienza e in esse, come mostra efficacemente don Franco Manzi, biblista e docente presso la Facoltà teologica di Milano, la testimonianza non si ferma alla lamentazione per il dolore patito, ma si apre alla confessione del soccorso ricevuto da Dio. L’articolo permette di seguire l’itinerario spirituale dal «De profundis al Magnifi cat» proposto nel salmo, mostrando come la rilettura evangelica di questo testo segni una traccia preziosa per il credente, invitato ad aprirsi alla fiducia nell’azione di Dio, che è condizione per leggere la sua parola nella propria esistenza.
La riflessione di Vincenzo Rosito, docente di Filosofi a teoretica presso la Pontifi cia facoltà teologica San Bonaventura-Seraphicum di Roma, analizza le recenti metamorfosi urbane che risignificano profondamente l’idea di ‘centro’ e – in modo corrispondente – quello di ‘periferia’. Si intuisce come il tema assuma immediata rilevanza pastorale in relazione all’invito di Evangelii Gaudium a dare vita a una «Chiesa in uscita […] in grado di raggiungere tutte le periferie». Esse infatti – diversamente dal passato – sono dislocate in una sorta di «dispersione interstiziale» interna alla città, tanto che «l’estroflessione della vita cristiana non può più essere pensata disponendosi lungo i bordi esterni, ma concentrandosi sui margini interni della città». Alla luce di tali considerazioni l’autore propone alcuni riferimenti pratici e simbolici di nuove diaconie urbane, di pratiche e gesti condivisi con i quali le comunità cristiane vengono ‘messe all’opera’ dalle metamorfosi del centro e spronate a ricercare nuove forme di servizio nella complessità urbana.
Dati recenti informano che circa dieci milioni di fedeli visitano annualmente i santuari italiani. Il dato, come argomenta il saggio di don Giovanni Cesare Pagazzi, prete della diocesi di Lodi e docente di Teologia sistematica presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale di Milano, non lascia indifferente la pastorale, interpellandola almeno in due direzioni fondamentali. Anzitutto per riequilibrare, valorizzando il tatto come senso spirituale, alcune forme troppo astratte della pratica della fede. In secondo luogo, prestando attenzione alle dinamiche del potere attivate dalla relazione col sacro: «Compito speciale dei santuari e della pietà popolare tutta è quello di aprire la porta a questa indifferenziata ricerca del potere che desidera simultaneamente realtà contrarie […] forse la pastorale più ordinaria, quella delle parrocchie, dovrebbe riappropriarsi in modo più evidente – imparando dalla pietà popolare e dal pellegrinare verso luoghi potenti – che la questione del ‘potere’ è questione vitale e centrale della fede».