Il summit che si è tenuto alla fine di febbraio con i presidenti delle Conferenze episcopali, i Superiori e le Superiore maggiori su La protezione dei minori nella Chiesa ha avuto una forte risonanza nel mondo ecclesiale e civile, segnando un punto di non ritorno sulla consapevolezza del problema degli abusi su minori nella Chiesa cattolica. Gli autori del contributo che segue, p. Amedeo Cencini (Verona), dott.ssa Anna Deodato (Milano), don Gottfried Ugolini (Bolzano), fanno parte del Servizio nazionale per la tutela dei minori della CEI e operano da molti anni accanto alle persone vittime di violenza. Il loro intervento mira a offrire una lettura sintetica di una problematica complessa che richiede anzitutto la disponibilità a riconoscere e comprendere nella loro gravità sia i sottili e subdoli meccanismi messi in atto dagli abusanti sia le dolorose e perduranti conseguenze subite dalle vittime. Il confronto con questa realtà apre necessariamente al duplice e urgente compito di leggerne coraggiosamente le cause e interrogarsi sull’adeguatezza degli itinerari formativi dei giovani preti e religiosi. Entrambe le questioni vengono affrontate senza remore, perorando anzitutto un attento ascolto del ‘magistero delle vittime’, proponendo quindi una lettura ecclesiale della problematica – «lo scandalo di pochi è di solito la conseguenza della mediocrità di molti» – e dettagliando alcune concrete proposte formative dirette a rafforzare la grammatica della affettività e della sessualità dei giovani candidati al celibato sacerdotale.
L’avvicinarsi delle elezioni europee ha ridato energia al dibattito sul futuro dell’Unione europea, messo in discussione in molti Paesi dal crescere dei consensi da parte delle variegate forze politiche a tendenza sovranista. Mons. Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio, già vicepresidente della Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea e membro della Direzione della Rivista, propone un’ampia riflessione che evidenzia il senso originario del progetto europeo e ravvisa i motivi del suo recente declino. Secondo l’autore, per far fronte alle insidie dell’economia globalizzata e dei populismi, va tenuto vivo e riattu alizzato il ‘sogno’ dei padri fondatori dell’Europa: «Robert Schuman invitava a costruire l’Europa non come un isolotto di prosperità egoista ripiegato su di sé, ma come una comunità generosa di uomini e donne liberi, fraterni e responsabili anche per gli altri popoli».
Il Convegno ecclesiale di Firenze ha consegnato alla Chiesa italiana il compito di far vivere l’umanità della liturgia. Questo proposito è di strategica importanza per l’evangelizzazione, poiché la sensibilità odierna avverte con forza il legame tra la liturgia e la vita e chiede alla celebrazione di essere luogo vitale, cioè di rigenerare l’esistenza dei singoli credenti ed essere momento sorgivo per la vita della comunità. Più radicalmente, sostiene Goffredo Boselli, liturgista e monaco della comunità ecumenica di Bose, l’esigenza di restituire spessore umano alla liturgia «non è semplicemente un’esigenza antropologica ma è una verità teologica». Verità fondata nella dinamica cristologica della rivelazione cristiana, tanto che «se alla liturgia cristiana noi sottraiamo ciò che ha di più autenticamente umano noi finiamo per compromettere anche ciò che ha di più evangelicamente divino». Il compito di una «liturgia umana» è quello di celebrare per testimoniare la vita, carattere essenziale se la liturgia vuole essere davvero cristiana e non un mero rito religioso.
Rimasto sopito per molto tempo, il dibattito sulla religione e sulla sua rilevanza civile è tornato d’attualità nella comunicazione pubblica, soprattutto a motivo di eventi collegati al fenomeno del fondamentalismo. Mons. Giuseppe Angelini, noto teologo moralista, offre qui una lettura di questo rinnovato interesse, sullo sfondo della netta frattura fra religione e cultura creatasi in Europa nel corso degli ultimi due secoli. L’attuale profi lo di una religione «esoterica», perché estranea all’opera di mediazione culturale della fede, conduce alla sua ineluttabile irrilevanza pubblica e indica un pericolo dal quale lo stesso cristianesimo dovrebbe guardarsi, evitando di «rifugiarsi in un’evanescente e irreale concentrazione kery gmatica». La fede cristiana – sostiene l’autore – «non può evitare il compito di confrontarsi con le forme della cultura antropologica e con i suoi inganni. […] Non può perseguire l’obiettivo del puro vangelo. Quando essa persegue di fatto questa strada, si fa più dipendente dagli usi arbitrari e secolari che dell’immaginario religioso fa una cultura senza Dio».
Il contributo di don Paolo Carrara, presbitero della diocesi di Bergamo e docente di Teologia pastorale presso la Facoltà teologica di Milano, si pone nel solco delle riflessioni che la Rivista va proponendo sul futuro della parrocchia. In particolare l’articolo auspica che, «pur venendo meno la ‘parrocchia delle opere’, si possa provare a reinvestire questi tratti proprio attorno al ‘principio parrocchiale’ », non reiterando il vecchio modello ma trovando modalità inedite per rivitalizzarne i tratti caratterizzanti. A tal fine, non sembra di alcun giovamento difendere in toto l’esistente , si dovrebbero piuttosto conservare i principi teologici dell’universalità del Vangelo e della cattolicità della Chiesa in una nuova configurazione missionaria dell’azione pastorale. Lo sporgersi sul terreno dell’‘altro’, istanzabase della missionarietà, comporta inevitabili cambiamenti pastorali e mutamenti nell’assetto organizzativo dei quali l’autore suggerisce la grammatica e offre concreti spunti immaginativi.