Il magistero di papa Francesco ha molto valorizzato la categoria del discernimento, che è diventato una parola-chiave del suo pontificato. In questo articolo mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano, mette a punto la declinazione del discernimento quale stile pastorale. Esso riguarda soprattutto la mentalità del pastore, a cui è richiesta la pazienza dei tempi lunghi della libertà e l’attenzione all’incontro personale. L’accompagnamento tipico della cura personalis fa infatti riferimento alla volontà di Dio che dev’essere compresa e realizzata dal soggetto concreto qui e ora. Si tratta dell’«arte delle arti», secondo la felice espressione di san Gregorio magno, a cui l’Autore dà qui ampio spazio. Questo compito ‘artigianale’ richiede non l’applicazione rigida e astratta della norma, ma una sapiente duttilità e quella capacità di aderire al concreto della vita delle persone, che solo la misericordia può ispirare.
Con questo intervento torniamo sul tema dell’omelia soffermandoci sulla sua funzione strategica nell’informare e indirizzare il cammino evangelico della comunità. Ne è autore don Sergio Gamberoni, direttore dell’Ufficio per la Pastorale dei Migranti della diocesi di Bergamo, che, a partire da una riflessione sul ruolo essenziale dell’omelia e sullo stile di predicazione che la nuova teologia conciliare ha suscitato, declina i guadagni che possono derivare dal collocarla più saldamente in un orizzonte ecclesiale. L’omelia quindi va pensata non solo come compito del predicatore ma anche della comunità nelle sue variegate espressioni: «L’omelia è chiamata a rendere contodella ricchezza dell’esperienza cristiana provando, nel dialogo con il Signore, ad abitare quelle tre dimensioni che la riflessione conciliare ha suggerito come fondanti dell’unico cammino cristiano: il rito, la Parola e l’etica […] Guardiamo con fiducia al compito dell’omelia nel sostenere il cammino della comunità cristiana e quello personale. Nella Parola proclamata, spezzata, offerta, meditata, è il Signore che parla all’uomo e costruisce la comunità».
Prosegue qui l’itinerario di accompagnamento alla comprensione del senso del battesimo cristiano. In questa terza parte del contributo mons. Giuseppe Angelini, noto teologo moralista di Milano, approfondisce, sullo sfondo antropologico e teologico disegnato dagli interventi pubblicati sui due precedenti numeri della Rivista, il ruolo della Chiesa nel rendere possibile la fede personale e la stessa trasmissione della fede dai genitori ai figli all’interno della famiglia: «Il mistero nascosto nell’esperienza della generazione ha indispensabile bisogno di questo incontro tra Chiesa e genitori, per venire alla luce; per trovare le parole giuste, mediante le quali soltanto il vangelo del figlio può trovare riconoscimento nella vita comune e rinnovare la giovinezza del mondo».
Simbolo, astrazione, persona: l’esistenza del diavolo non cessa di animare il dibattito teologico che dal pontificato di Francesco ha ricevuto la provocazione a considerare con grande serietà la consistenza della presenza dinamica e pervasiva del maligno. Don Giovanni Cesare Pagazzi (membro della redazione e docente presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale di Milano e il Pontificio Istituto teologico Giovanni Paolo II di Roma), consapevole degli imbarazzi pastorali che la trattazione del tema porta con sé, propone qui un’acuta rilettura teologica di alcuni importanti brani neotestamentari. L’autore, evitando le semplificazioni demitizzanti molto diffuse negli scorsi decenni, propone una comprensione spirituale della presenza della potenza del male nella storia e nella vita del credente.
Il tema della ricerca di Dio, centrale nella sensibilità religiosa, trova una singolare declinazione nella Bibbia, dove incontriamo la testimonianza di un Dio che agisce con un moto contrario, mettendosi alla ricerca degli uomini. Nonostante questo movimento attraversi tutta la Scrittura, l’indagine esegetica e teologica non se ne è molto occupata, soprattutto riguardo al Primo Testamento. In questo intervento Donatella Scaiola, biblista e docente presso la Pontificia Università Urbaniana, traccia un sintetico e stimolante excursus, analizzando brani dalle tre parti che compongono l’Antico Testamento e mettendo in risalto le caratteristiche e lo sviluppo di un tema che acquista progressivamente maggiore spessore esistenziale: la ricerca di Dio, che inizialmente si riferisce alla visita di un santuario, si lega poi nei Salmi alle esigenze etiche per poter accedere al luogo di culto fino a configurarsi come un’aspirazione mistica che abbraccia tutta l’esistenza.
Poco più di cinquant’anni fa il diaconato ‘permanente’ veniva ripristinato nel contesto del Concilio Vaticano II. La sua recezione pratica è tuttavia ben lungi dall’essere approdata a una forma consensualmente accettata, talora pensata in posizione subalterna al presbiterato o viceversa plasmata sul modello di una più aperta competenza laicale. Tuttavia, sostiene don Paolo Arienti, docente di Ecclesiologia presso lo Studio teologico e dell’ISSR di Crema-Cremona-Lodi-Vigevano e Pavia, tale indeterminazione potrebbe essere considerata un’occasione per realizzare con creatività ed effi cacia la nota del servizio, costitutiva del ministero diaconale: «Questa indeterminazione – sostiene don Arienti – è infatti la sostanza stessa di una presenza che è significativa solo se vitale, adesa alla realtà, piegata davvero su quel corpo di Cristo che assume anche i tratti anonimi e inediti dell’umanità ultima odierna». Una tale impostazione rimanda però alla questione più ampia di quanto la nostra Chiesa e le nostre comunità siano disposte a investire in pluralità e liminalità, in nuovi contesti di evangelizzazione.