L’articolo di don Giuliano Zanchi, redattore della rivista e segretario generale della Fondazione Bernareggi di Bergamo, è intenzionalmente privo delle caratteristiche tipiche di uno studio teologico. Nasce piuttosto come strumento di riflessione di un gruppo di preti e laici della diocesi di Bergamo, che da molti anni elabora interessanti linee prospettiche di riforma pastorale. L’eredità conciliare a cui il sottotitolo allude, è quella della costituzione Dei Verbum sulla Divina Rivelazione. Essa ha dato avvio a un’effettiva familiarità dei cristiani con la rivelazione biblica non solo nella celebrazione della liturgia, ma anche nell’esercizio della teologia, nella pratica dei gruppi biblici e in altre manifestazioni della vita ecclesiale. E tuttavia non pare ancora pienamente recepita la più profonda novità introdotta dal Concilio: la rivelazione di Dio non avviene in un insieme di parole conservate all’interno di un testo sacro, ma nel concreto di una storia che ha avuto il suo culmine nella vita di Gesù. Nella Sua presenza Dio ha parlato definitivamente, in un tempo preciso della storia, assumendo la coscienza umana di quell’epoca, attraverso le parole di una religione e di una cultura. La comunicazione con cui Dio incontra gli uomini non può avvenire fuori e senza la storia. L’apprendimento di questa ‘lezione’ della rivelazione biblica dentro le nostre comunità, nelle loro relazioni di prossimità, nei loro discorsi, nel loro stile e modo di pensare, è un compito sempre attuale, condizione indispensabile per poter davvero «mantenere la Parola».
Pur in un contesto di marcata secolarizzazione, alle nostre Chiese vengono spesso richiesti riti di passaggio, riti che segnano la transizione da una stagione all’altra della vita (nascita, iniziazione, matrimonio e morte). Si tratta di fondamentali dell’umano che scandiscono l’esistenza, dandole forma. Louis-Marie Chauvet (già docente di Teologia sacramentaria, parroco nella periferia di Parigi) si sofferma su uno di tali riti, la celebrazione dei funerali, così frequente nella vita pastorale ordinaria. Chi chiede il funerale in chiesa per un proprio congiunto, in qualunque situazione si trovi, è mosso da una domanda di senso che va accolta e accompagnata alla luce del vangelo. Ispirato da tale prospettiva, l’articolo risulta ricco di risonanze e spunti celebrativi: vi si condensa il sapere della fede di un grande teologo, continuamente in ascolto dell’esperienza comune, e che da essa si fa interrogare. Il testo riprende la relazione di Chauvet al XV Convegno liturgico internazionale di Bose su «Abitare Celebrare Trasformare» (1-3 giugno 2017), di futura pubblicazione presso l’editrice Qiqajon.
Dopo aver analizzato sulle pagine del fascicolo di giugno le radici dell’odierna eclissi della cultura europea, mons. Giuseppe Angelini, docente di Teologia morale alla Facoltà teologica di Milano, propone in questo secondo articolo una via per rimediare alla grave perdita di memoria che impedisce all’Europa di offrire alla civiltà planetaria quanto solo essa può offrire, la testimonianza e le forme pratiche del suo umanesimo. Tale via passa anzitutto dal recupero della forma morale della vita che, necessaria per la strutturazione dell’identità del singolo e della stessa comunità civile, viene ora concepita come norma funzionale dell’agire, necessaria soltanto per rendere sostenibile al singolo il rapporto sociale. «Per rimediare alla minacciata evaporazione delle evidenze morali elementari occorre invece anzitutto cimentarsi con lo studio dell’esperienza effettiva delle persone; occorre dare espressione agli interrogativi che essa propone. Appunto a un tale discernimento deve servire la ripresa della memoria cristiana, che ha fatto l’Europa e che la cultura pubblica corrente invece rimuove, appellandosi ai pretesi principi universali». Qui si apre lo spazio per il contributo insostituibile della Chiesa e per la sua grande responsabilità storica.
Come è noto, ricorre in questo 2017 il cinquantenario della morte di don Lorenzo Milani. L’importanza e l’attualità della sua figura per la Chiesa sono state sottolineate dalla recente visita di papa Francesco a Barbiana. Tuttavia, nota don Massimo Naro, docente di Teologia sistematica presso la Facoltà teologica di Sicilia (Palermo), «probabilmente molti di coloro che esaltano la figura di don Milani non hanno mai letto una sola pagina di Esperienze pastorali e la sua riabilitazione – nell’opinione pubblica ecclesiale e laica – rischia di ridursi a una sorta di moda». Per questo l’autore sceglie di rileggere la complessa e scomoda figura di don Milani a partire dalle pagine di questa opera che ancor oggi risuona provocatoria, capace di trasmettere non solo le originali intuizioni culturali e pedagogiche del priore di Barbiana, ma anche la sua profonda passione pastorale e sacerdotale, quella di un uomo che si sentiva colpito dalla ‘Grazia fulminante’: «Don Milani è stato un “colpo di fulmine”, “di quelli di cui l’Economia della Grazia non sciala”».
Si conclude con questo secondo intervento la riflessione sul tema della cura di Luigina Mortari, docente di Epistemologia della ricerca qualitativa all’Università di Verona dove dirige il Dipartimento di scienze umane. Dopo aver proposto nel precedente articolo (pubblicato sul fascicolo di febbraio) una descrizione del senso e delle principali figure della cura, ne approfondisce qui la natura etica descrivendo le principali «posture dell’esserci» che le danno corpo: sentirsi responsabile, condividere con l’altro l’essenziale, avere una considerazione reverenziale per l’altro e avere coraggio. L’articolo disegna con attenzione una suggestiva fenomenologia dell’esperienza di cura, segnalandone sia l’elevata qualità etica sia i possibili fraintendimenti che porterebbero a snaturarla.