L’immaginazione, caratteristica dell’agire di Dio nella creazione e
nella storia, è dimensione ineliminabile sia della scrittura biblica sia
soprattutto della struttura dell’uomo che, in quanto imago Dei, è anche
homo imaginans. Essa dà voce al linguaggio del desiderio umano,
è anticipazione del futuro e invenzione di orizzonti, apre al pensiero
di sé e della Chiesa al futuro; non è quindi attività oziosa o
inutile. Obiettivo di questo contributo del monaco di Bose Luciano
Manicardi è proprio di ribadire la dimensione teologica e antropologica
della spesso bistrattata facoltà dell’immaginazione. Lo scritto
è parte di un volume di prossima uscita1 (Sogni da prete, a cura di A.
Sabatelli, EDB, Bologna) che raccoglie i risultati di una ricerca voluta
dalla Facoltà Teologica Pugliese sulla condizione dei preti in Puglia.
Inchiesta innovativa perché dedicata non soltanto all’acquisizione di
dati empirici, ma a verificare se e come avviene l’immaginazione del
futuro personale e della Chiesa da parte di presbiteri di diverse età
e condizioni. In tempi di crisi, quando il futuro si colora delle tinte
della minaccia, a fronte del rischio della riduzione funzionalistica del
ministero presbiterale, ricordare l’essenzialità dell’immaginazione significa
anche ridare fiato al primato del desiderio sulla costrizione
rappresentata dai molti bisogni pastorali e affermare che l’uomo, e
così anche il prete, è chiamato prima a creare che a fare. A essere
creativo, più che esecutore.
Lo studio di don Ezio Prato ha il pregio di mettere in evidenza alcune
prospettive dischiuse dalla categoria di testimonianza (oggi così
importante nella comprensione che la Chiesa ha della propria missione):
un’interpretazione non riduttiva della conoscenza umana; una
comprensione corretta della trasmissione della rivelazione oltre che
della prospettiva dialogica. L’autore, docente di Teologia fondamentale
presso la Facoltà teologica di Milano e il Seminario Vescovile di Como,
offre qui sia una preziosa occasione di aggiornamento sia alcuni
spunti per pensare lo stile testimoniale implicito nell’azione pastorale.
Il ‘fuoco’ della ricerca concerne il rapporto fra verità e libertà, senza
la cui mediazione non è neppure pensabile una trasmissione della
verità. Infatti, «le derive della figura testimoniale da noi segnalate, cioè
la dimenticanza del tratto polemico della testimonianza stessa e il
modello coercitivo nel quale sfocia il fondamentalismo, concorrono
a obliterare il ruolo della libertà e della decisione».
Pubblichiamo qui la seconda parte dell’intervento di don Saverio
Xeres dedicato alla recezione della figura di S. Paolo nella storia della
Chiesa.Vengono qui desunti i motivi della marginalizzazione dell’Apostolo
delle genti durante il Medioevo a favore della figura petrina
e la successiva ripresa di interesse da parte dei principali
movimenti riformatori, fino alla recente rivalutazione per opera della
teologia e del magistero. A conclusione della rivisitazione della
storia degli effetti del pensiero di Paolo è dunque possibile affermare
che esso ha continuato «a svolgere nella Chiesa quel compito tipicamente
“apostolico” ricevuto da Cristo e da lui vissuto con grande
intensità e totale coinvolgimento personale: quello di essere
“servitore del Vangelo”».
Pubblichiamo volentieri la riflessione proposta da Giorgio Mazzola
(presidente dell’istituto secolare Cristo Re) al Consiglio episcopale
milanese nel centenario della nascita di Giuseppe Lazzati, personalità
di primo piano della Chiesa italiana del '900 nonché Rettore dell’Università
Cattolica di Milano. Al di là dell’occasione segnata dall’importante
ricorrenza, tornare sulla figura laicale di Lazzati offre l’opportunità
di riprendere il tema del laicato da una prospettiva particolare e
poco frequentata, quella ‘spirituale’, attenta soprattutto a cogliere la
sua presenza nella Chiesa a partire dalla contemplazione del mistero
di Dio e della sua incarnazione. Radicata in questa profondità l’esistenza
laicale può così dispiegarsi evangelicamente come servizio, nella
consapevolezza che il tutto della vita credente si realizza nella ‘normalità’
dello svolgere ‘bene’ i compiti ai quali si è chiamati dalla vita.
Molti e suggestivi sono gli spunti di riflessione che I Promessi Sposi di
Alessandro Manzoni offrono anche alla sensibilità pastorale. L’attenzione
di don Alberto Carrara, parroco della diocesi di Bergamo, si
concentra in questa nota sul personaggio dell’Innominato, protagonista
della parte finale del capitolo XXI. Il passaggio che lì si delinea,
dal mondo individuale e solitario dell’Innominato al mondo festoso
e comunitario della gente che va per riunirsi attorno al cardinale Federigo,
viene letto in continua risonanza con immagini evangeliche
che ben esplicitano la ricchezza teologica e antropologica della narrazione
manzoniana. Il testo letterario diventa così «lo splendido
pretesto per un gioco in cui è possibile passare a diversi sensi che
non negano la sua bellezza ma, al contrario, partono da essa per rilanciare
altri possibili, affascinanti significati». Queste pagine manzoniane
invitano a una comprensione non scontata dell’incontro con
la Chiesa in termini di superamento della solitudine esistenziale e di
scoperta di una comunità amicale e festante.