Lo scorso 27 aprile, nell’anno dedicato alla memoria di San Paolo e
al trentennale della morte di Paolo VI, si è tenuto a Villa Cagnola di
Gazzada un convegno dal titolo Montini-Paolo VI: l’evangelizzazione,
compito e missione della Chiesa. L’arcivescovo di Milano, card. Dionigi
Tettamanzi, ha pronunciato un ricco e stimolante intervento che qui
pubblichiamo, interamente centrato sul tema della missione ecclesiale
nel pensiero montiniano. L’accurata rilettura dei due documenti
ne sottolinea l’immutata attualità teologica, relativa in particolare
a due categorie centrali: quella di ‘dialogo’, che nell’Ecclesiam
Suam «non definisce una tattica, né una strategia della Chiesa per ridurre
la distanza che la coscienza cattolica, sperimenta con la modernità,
ma dice la via stessa della Chiesa, la sua forma riconoscibile,
il suo stile inconfondibile» e quella di ‘missionarietà’ della Chiesa,
inconcepibile «senza una profonda e continua “riforma” della Chiesa
stessa: una riforma “dalle origini”, dalla forza viva del Vangelo animata
dallo Spirito di Gesù».
La riflessione di don Giampietro Ziviani, direttore dell’Ufficio catechistico
della diocesi di Adria e Rovigo, affronta un importante snodo
della metodologia pastorale della Chiesa italiana. Cogliendo l’occasione
della chiusura del decennio pastorale, offre anzitutto una
recensione delle strategie di evangelizzazione promosse e poste in
atto nelle nostre diocesi. L’Autore individua nell’annuncio tematico
e nel parlare alla persona nell’amore le due direttrici fondamentali
che hanno orientato la predicazione della Chiesa negli anni recenti.
Nella seconda parte del saggio indirizza poi l’attenzione su un ulteriore
percorso possibile, il ‘metodo Verona’ o approccio atematico,
caratterizzato dall’attenzione alle esperienze vitali della persona e al
loro accompagnamento nella testimonianza del Vangelo. In questa
chiave fornisce poi un saggio di lettura di due delicati ambiti pastorali
(la cura degli affetti e il lavoro), esemplificando le modalità con
le quali l’azione della Chiesa potrebbe mettere concretamente al
centro la persona e le sue dinamiche esistenziali.
Negli ultimi mesi abbiamo ospitato sulla Rivista diversi contributi che
da differenti angolature hanno cercato di scandagliare i mondi giovanili,
tendenzialmente estranei all’universo della fede cristiana. Il saggio
che qui pubblichiamo arricchisce l’esplorazione della prospettiva
empatica di un giovane sacerdote padovano, don Marco Pozza, il cui
punto di vista risulta particolarmente prezioso perché unisce prossimità
anagrafica e distanza critica, esperienza condivisa e riflessione
critica. La grande sensibilità dell’Autore conferisce allo scritto la capacità
di parlare efficacemente dei giovani, ma suggerisce pure un linguaggio
col quale intendersi e comprendere le nuove generazioni.
Capire – sottolinea l’Autore – che la corretta forma di relazione non
può che essere «uno stile di pastorale ospitante», profondamente rispettosa
dell’identità altrui, e tesa come un giocatore di scacchi a indovinare
la mossa che possa aiutare loro a semplificare la lettura della
vita, accogliendo così quel grido che, «tacitamente ignorando, ci
stanno lanciando con la loro apostasia silenziosa: liberateci!». In questa
prima parte dell’articolo don Pozza, dopo un’introduzione generale,
si sofferma sulle patologie della parola nell’universo giovanile
odierno e sui possibili rimedi. Sul prossimo numero l’autore approfondirà
le dimensioni del vissuto temporale e della gestualità.
Prosegue la riflessione di don Maurizio Chiodi e Gianmario Fogliazza
sull’esperienza adottiva. Questa seconda, ricchissima, parte ne
sviluppa il profilo antropologico, teologico, spirituale e pastorale. La
prassi di accoglienza di un figlio abbandonato viene così compresa –
oltre il suo generico profilo filantropico – come un nuovo ‘luogo’
per la teologia: lasciandosi sollecitare da essa, l’esperienza umana dei
bambini abbandonati-accolti può essere intesa come luogo strategico
da cui ascoltare e interpretare la rivelazione compiutasi in Gesù
Cristo. La comprensione dell’adozione in termini ‘spirituali’ si rivela
così una prospettiva di grande aiuto per le famiglie adottive e i bambini
accolti, rappresentando insieme un’interessante testimonianza
per la Chiesa e per il mondo.
Ricorrono quest’anno due importanti anniversari relativi alla figura
di don Luigi Sturzo: i cinquant’anni dalla morte, avvenuta a Roma l’8
agosto 1959, e i novant’anni dalla diffusione dell’appello A tutti gli uomini
liberi e forti del 18 gennaio 1919, che segnò l’atto di nascita del
Partito popolare italiano. Del prete di Caltagirone ci offre un lucido
ritratto Francesco Traniello, ordinario di Storia contemporanea all’Università
di Torino. Il contributo mette efficacemente a fuoco le
ragioni della permanente attualità di Sturzo: anzitutto l’affermazione
del rapporto intrinseco tra ordine morale e politica, contro ogni visione
e pratica machiavellica. Inoltre, sottolinea Traniello, aspetto
non meno importante dell’eredità sturziana è la distinzione tra fini
morali della politica e religione, sullo sfondo del complesso rapporto
tra cattolicesimo e democrazia, e a salvaguardia della missione
propria della Chiesa e dell’autonomia responsabile dei cristiani laici.
Negli anni recenti sono stati pubblicati numerosi libri di taglio divulgativo
su Gesù e le origini cristiane. In essi l’oggettività delle
conclusioni della scienza storica sembra non lasciar spazio al divino,
relegando il credente e la sua fede a uno spazio residuo e
comunque avulso dai riferimenti alla storia, presupposta come incapace
di ospitare il divino. In questo denso contributo il prof.
Luigi F. Pizzolato, ordinario di Letteratura cristiana antica e preside
della Facoltà di Lettere e Filosofia presso l’Università Cattolica
di Milano, si propone di dissipare alcuni luoghi comuni legati alla
divulgazione di temi complessi e di delineare correttamente
potenzialità e limiti della ricerca storica e di quella teologica.
Opera non facile a motivo dei presupposti teorici che stanno dietro
il lavoro dello storico e dell’esegeta, che però non vengono
dichiarati in queste opere.Vengono così semplificate le problematiche,
generando incomprensione da parte di un pubblico di non
specialisti, che non può avvertirle da sé e che però è il destinatario
primo dell’operazione. L’autore invita a riscoprire la tensione
tipica della fede cristiana che, pur irriducibile al ‘fatto’, intrinsecamente
si riferisce alla storia, ‘luogo’ della rivelazione di Dio.
In questa occasione la nostra richiesta di parlare di un brano della
Scrittura capace di illuminare la vita ha trovato un nuovo interlocutore:
la parrocchia. Ne è autore don Angelo Casati, sacerdote
della diocesi di Milano, che proprio alla parrocchia ha
dedicato la passione di una intera vita. Egli narra di come la parabola
del granello di senapa abbia offerto solida ispirazione alla costruzione
di una comunità «con le radici nella terra e i rami al sole
», accogliente come un grande albero, che tutti ospita e rispetta.
Così, forse con sorpresa, la parabola dipana i suoi sensi proponendoci
una complessa icona teologica della parrocchia, vivacemente
animata dalla gentile e appassionata prosa di don Angelo, a
testimonianza della fecondità della Parola e dei cammini cha sa
aprire.