La recente crisi economica ha portato a riscoprire parole da tempo
dimenticate come sobrietà, moderazione, condivisione, solidarietà.
Parole che la Chiesa ben conosce poiché, da sempre, essa ha
la consapevolezza di essere edificata dall’eucaristia, principio di condivisione
di un unico pane, come insistentemente afferma Paolo nella
Prima lettera ai Corinti. La riflessione di Goffredo Boselli, liturgista
e monaco della comunità di Bose, istruita dai testi paolini e
patristici, muove dalla domanda se l’attuale prassi eucaristica delle
comunità cristiane e il loro discernimento del corpo del Signore siano
deficitari, simili a quelli dell’antica comunità di Corinto. L’articolo
costituisce una preziosa occasione di verifica per le nostre comunità
a proposito del tenore delle loro celebrazioni liturgiche.
«Solo dall’eucaristia, e in essa dal gesto profetico della frazione del
pane, le comunità cristiane d’Occidente potranno rinnovare la loro
consapevolezza che la Chiesa non può essere corpo di Cristo se in
essa i cristiani, rigettando ogni forma di egoismo, non condividono i
loro beni con i poveri, quelli a loro prossimi come quelli lontani».
Soggettivismo, individualismo, ricerca della gratificazione immediata
sono caratteri dell’attuale cultura diffusa ripetutamente rilevati dai
pronunciamenti ecclesiastici. Lo studio che qui pubblichiamo offre
un’interessante pista di riflessione, utile a comprendere il ruolo che
i media hanno avuto in questa recente e radicale mutazione antropologica,
a livello sia di mentalità sia di costume. Ne è autrice Chiara
Giaccardi (docente di Sociologia e antropologia dei media all’Università
Cattolica di Milano) che pone l’attenzione soprattutto sul
ruolo preponderante della televisione in questo cambiamento, mostrando
come essa negli ultimi decenni, dopo l’affermazione del modulo
della tv commerciale, abbia perduto la funzione culturalmente
costruttiva svolta al suo sorgere, e sia divenuta cassa di risonanza di
una concezione della vita di basso profilo. Proponiamo questa riflessione
persuasi che una critica e lucida comprensione di tale dinamica,
oggettivamente in contrasto con una visione religiosa dell’esistenza,
aiuti a intuire come essa non sia neutra, ma, al contrario,
plasmi negativamente sensibilità e comportamenti, in particolare
delle giovani generazioni.
Concluso l’‘anno paolino’, torniamo sulla figura del grande apostolo
con una meditata e interessante ‘storia degli effetti’ che il suo pensiero
ha esercitato lungo la vita della Chiesa, soprattutto nei periodi
in cui essa si è posta alla ricerca della propria identità. L’interesse
dello studio di don Saverio Xeres, docente di Storia della Chiesa alla
Facoltà teologica di Milano e redattore della Rivista, è ancora
maggiore se si considera la mancanza di studi di sintesi su questo tema.
Pubblichiamo qui la parte iniziale dell’intervento, dedicata ai primi
quattro secoli, ove emergono i tratti di una recezione non univoca,
anzi segnata da dibattiti e contraddizioni, come testimonia
l’appropriazione della figura paolina da parte di alcuni movimenti
ereticali dei primi secoli.
L’appassionante studio di don Giuliano Zanchi, parroco e liturgista
della diocesi di Bergamo, si propone di mostrare come la costruzione
dello spazio contribuisca all’‘efficacia contemplativa’ della liturgia,
alla sua capacità di attrarre alla partecipazione, cioè di sollecitare
il credente a disporre l’intero della sua persona nei legami che
si istituiscono nell’azione liturgica. L’obiettivo non è quindi di spiegare
il significato dei luoghi liturgici, né di sviluppare una esegesi dello
spazio cristiano e della sua topica. La riflessione cerca piuttosto
di condurre il lettore a cogliere gli elementi essenziali del particolare
meccanismo che i luoghi della liturgia cristiana sanno disporre, al
fine di realizzare ciò che si dice. Per compiere questo itinerario lo
studio si affaccia anzitutto sul senso dell’esperienza originaria che
l’essere umano ha dello spazio, facendo comprendere che i due
aspetti, quello antropologico e quello liturgico, non sono uno la preparazione
dell’altro, quasi che il secondo arrivi a sostituire il primo,
ma si implicano continuamente a vicenda anche nei luoghi della quotidiana
esperienza celebrativa.
Note ragioni di carattere storico rendono particolarmente difficile il
dialogo fra laici e cattolici in Italia che, recentemente, ha conosciuto un
nuovo picco polemico in occasione di vicende legate a temi di bioetica.
L’autore dell’interessante studio, don Aristide Fumagalli, docente di
Teologia morale nel Seminario Arcivescovile di Milano, propone qui un
percorso capace di condurre a un luogo condiviso dal quale sia possibile
avviare un reale dialogo fra le due parti. Il terreno comune è ritrovato
nell’amore del prossimo, comandamento essenziale della morale
cristiana e istanza etica riconoscibile anche dalla riflessione
razionale; quindi possibile luogo privilegiato di confronto con l’etica laica
postmoderna. Entrambi i punti di vista condividono qui la fondazione
dell’evidenza morale sulla relazione interpersonale: «Inscritto
nella relazione interpersonale e sociale, l’amore del prossimo prospetta
il rispetto e la cura del tu come fondamento del dialogo, sottraendo
le decisioni sul bene e sul male al totale relativismo di un’etica solo
fondata sull’io, come pure all’assolutismo fondamentalista di un’etica
dipendente solo da una certa visione di Dio».