Elogio della sete è lo splendido titolo di un libro di José Tolentino Mendonça (sacerdote, poeta, biblista, vicerettore dell’Università Cattolica di Lisbona e consultore del Pontificio Consiglio della Cultura) appena pubblicato da Vita e Pensiero. Il libro raccoglie le meditazioni che hanno guidato gli esercizi spirituali nel tempo di Quaresima per papa Francesco e la Curia romana. Avere sete e dissetarsi: è un’esperienza comune a ogni essere vivente, eppure possiede molte sfaccettature. Dice di bisogni e di desideri. Di vuoto e di slancio verso il pieno. Di tristezza e di morte, come di ricerca attiva della freschezza di una sorgente. È soprattutto l’opportunità di crescita offerta dalla sete che a Tolentino preme di sottolineare, ricercandone le tracce nelle Scritture come nella letteratura e nella poesia. Fino a scoprire il dono che la sete ci fa, l’acqua viva dello Spirito, e a ricevere la consolazione delle parole di Gesù: «Chi ha sete, venga». Il testo qui pubblicato riproduce il capitolo su «Le lacrime raccontano una sete».
Prosegue con questo secondo intervento la riflessione che don Paolo Carrara, presbitero della diocesi di Bergamo e docente di Teologia pastorale presso la Facoltà teologica di Milano, dedica alle dinamiche pastorali richieste dalla nuova situazione della Chiesa italiana, caratterizzata dalla «tensione tra una fede che di fatto non è più “di tutti” e l’esigenza che essa sia comunque proposta “per tutti”». Dopo aver elaborato la prospettiva di fondo nell’articolo pubblicato sul fascicolo di marzo – in cui ribadisce la necessità di salvaguardare il carattere popolare della Chiesa italiana – la riflessione prosegue costruendo un percorso di discernimento pastorale che tiene quale riferimento la parrocchia e indica le azioni che meglio possano corrispondere al compito dell’evangelizzazione oggi. Dare spazio alla coscienza dei fedeli, abbracciare una prospettiva kerygmatica rivitalizzando il ‘cuore’ del cristianesimo, conferire centralità alle pratiche della carità, rivedere le forme di esercizio dell’autorità oltre la direzione del controllo, si propongono così come aspetti imprescindibili dell’avvio di un nuovo stile pastorale.
Il tema del rapporto fra le culture riguarda da vicino la vita della Chiesa italiana e interpella sempre più la quotidiana azione pastorale. Per questo merita di essere pensato ponendo attenzione ai modelli ideali ai quali – consapevolmente o meno – essa si ispira. Don Maurizio Gronchi, sacerdote pisano e docente di Cristologia presso la Pontificia Università Urbaniana, offre qui una ripresa delle parole chiave con le quali è stato interpretato il rapporto tra fede e culture nel recente Magistero ecclesiale. Lo sviluppo della terminologia, transitata dal linguaggio dell’‘adattamento’ a quello dell’‘inculturazione’ e quindi dell’‘interculturalità’, è segnato da una progressiva valorizzazione della potenziale universalità di ogni cultura, nella quale è possibile riconoscere una radicale apertura alla verità, capace di intercettare la comune esistenza dell’identico e unico essere che è l’uomo. Questa prospettiva rappresenta dunque lo sfondo sul quale acquisire criteri utili a favorire l’incontro tra la fede e le molteplici culture.
Roberto Righetto è stato a lungo responsabile delle pagine culturali di «Avvenire». Ha quindi maturato sul campo una qualificata competenza che lo abilita a proporre un quadro di sintesi (comparso online su «VP plus» nelle scorse settimane) sullo stato dell’editoria libraria cattolica in Italia. Essa si trova oggi in una situazione di profonda crisi a livello sia imprenditoriale sia di complessiva visione culturale. Se a questo aggiungiamo la vera e propria morìa di riviste di ispirazione cattolica alla quale stiamo assistendo negli ultimi anni, non possiamo non farci delle serie domande sulla qualità culturale del cattolicesimo italiano. La buona cultura e le buone idee non sono un lusso per il ministero della Chiesa. Gli sono semplicemente essenziali per poter leggere e abitare consapevolmente questo nostro tempo di profonda e inedita transizione. Si tratta di una sfi da che la Chiesa italiana non può non raccogliere in termini di scelte e investimenti. Non è in gioco solo la cultura religiosa del nostro Paese, ma soprattutto la capacità di essere una voce propositiva e persuasiva dentro la società attuale.
Pubblichiamo il testo della prolusione ai corsi di Teologia dell’Università Cattolica pronunciata lo scorso marzo da mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale e vice presidente della Conferenza episcopale italiana. L’Autore mette a tema le difficoltà che oggi segnano il diffi cile passaggio intergenerazionale della fede e analizza le principali dinamiche che caratterizzano il mondo giovanile odierno. La riflessione suggerisce poi, alla luce del Documento preparatorio del Sinodo e dei risultati del Questionario inviato alle diocesi, alcune prospettive per il superamento della divaricazione fra le generazioni, che tanto incide sul rapporto dei giovani col mondo ecclesiale.
Con questa riflessione dai tratti talora provocatori don Alberto Carrara, parroco e già Delegato vescovile per la cultura e gli strumenti di comunicazione sociale della diocesi di Bergamo, torna sulle transizioni che in questi anni scuotono la vita quotidiana della Chiesa. L’attenzione viene focalizzata sui preti in quanto personaggi simbolicamente riassuntivi della Chiesa, che come tali avvertono maggiormente i traumi del passaggio. L’autore, pur riconoscendo che le «molte urgenze della Chiesa potrebbero costringere i preti a chiudersi in chiesa», invita a cogliere nella situazione attuale la possibilità di superare l’atteggiamento «patetico» di attaccamento a un ruolo che non c’è più e di riscoprire l’essenziale: confi gurare il proprio ministero quale «prete pastore e passeur» ripensandosi in termini di «costruttore di legami, di personaggio “angelico”, incaricato di annunciare e legare. Non, dunque, disincarnato, ma profondamente dentro la realtà comunitaria che è chiamato a servire».