Ospitiamo qui la relazione che Jean-Marie Donegani, professore di
Scienze sociali all’Institut d’Etudes Politiques e all’Institut Catholique
di Parigi, ha presentato in occasione di una giornata di studio tenutasi
di recente alla Facoltà Teologica del Triveneto a Padova. L’intervento
sostiene con forza le ragioni di attualità della parrocchia
anche in un contesto culturale così diverso da quello tridentino che
la vide nascere. Il lettore viene guidato ad apprezzare questa conclusione
attraverso l’analisi dei nuovi tratti antropologici che segnano
profondamente l’uomo contemporaneo (individualismo, soggettivismo),
dei quali una pastorale avvertita non può non tener conto,
perché il Cristianesimo può e deve essere vissuto anche dentro
questo clima culturale. Su tale sfondo l’Autore abbozza interessanti
prospettive per uno stile pastorale nuovo, attento a come gli uomini
e le donne possano, in senso lato, essere ‘generati alla vita’.
«Se la parrocchia ha perso la funzione primaria d’integrazione sociale
che aveva una volta, essa deve ritrovare una nuova vocazione dentro
questo mondo pluralista e individualista. Deve riuscire a essere
sempre “Chiesa in un luogo per tutti e grazie a tutti”, malgrado la
scomparsa del mondo rurale e della cristianità a esso connessa. La
parrocchia deve divenire il luogo di una ricerca di senso e di solidarietà
per coloro che a essa si rivolgono, come per quelli che la guidano
e la animano. E lo può fare assumendo insieme sia il ruolo di
comunità confessante che di prestatrice di servizi. La parrocchia
deve essere luogo di attestazione del Vangelo per tutti».
In questa seconda parte dello studio di don Vignolo (docente di
Esegesi e Teologia biblica alla Facoltà teologica di Milano) sulla risurrezione
di Gesù (cfr. per la prima il fascicolo 5/2008, pp. 338-350)
vengono analizzate le caratteristiche salienti dei racconti di apparizione
che, pur molto diversi fra loro, forniscono il canone delle
modalità con le quali è possibile percepire la realtà del Risorto. La
lettura dell’acuta disamina di quei racconti non rappresenta quindi
solo un utile approfondimento di importanti testi scritturistici, ma
introduce alle regole evangeliche secondo le quali cercare e
‘vedere/udire’ – oggi come allora – la realtà vivente del Risorto, presente
nella liturgia del giorno del Signore e nella storia quotidiana.
L’articolo di p. Stefano Zamboni (dottore in Teologia morale presso
l’Accademia Alfonsiana di Roma) rilegge la figura di Gesù alla luce
della categoria di ‘proesistenza’, cioè del suo essere per gli altri. Con
questo non si intende una caratteristica, pur rilevante, di Gesù, successiva
alla sua identità, bensì il suo stesso essere (e quello stesso
del Dio che rivela): Servo nella dedizione ai suoi, sino alla fine; Figlio
nella sua consapevolezza di non essere nulla al di fuori del rapporto
di generazione dal Padre, infine Fratello poiché la fraternità esprime
la dimensione di profonda condivisione che ha ‘l’essere per altri’
cristiano. Questa lettura cristologica è di vitale importanza anche in
riferimento all’esistenza del credente e alla testimonianza ecclesiale,
come afferma il Signore stesso: «Chi cercherà di salvare la propria
vita la perderà, chi invece la perde la salverà».
Dopo aver richiamato le principali ragioni del ripristino del diaconato
permanente e il magistero del Vaticano II al suo riguardo (cfr.
5/2008, pp. 325-337), mons.Alphonse Borras (vicario generale della
diocesi di Liegi e docente di Diritto canonico all’Università Cattolica
di Lovanio) in questa seconda parte del suo articolo analizza a fondo
la ricchezza dei significati teologici legati alla sacramentalità del diaconato,
considerato all’interno del ministero ordinato come configurazione
a Cristo, venuto per servire e non per essere servito. Questa
prospettiva, che tenta di valorizzare l’effetto istituente dell’ordinazione,
vorrebbe permettere una giusta comprensione del diaconato:
infatti, nella relazione simbolica per cui alcuni manifestano ciò che
tutti nella Chiesa sono destinati a essere e fare, «ricevere il diaconato
permette di partecipare alla diaconia di Cristo, secondo la logica
del dono fino all’estremo.A questo fine il diacono viene segnato; la sua
ordinazione lo destina all’opera di Dio, che sta portando questo
mondo al suo compimento. Secondo questa logica di dono, il diacono
apre “la Chiesa al lavoro del Regno nella storia”». Ciò nel contesto di
una Chiesa tutta ‘serva diacono’ e del ministero ‘pastorale’.
Fra i temi che Benedetto XVI ha toccato nel suo recente viaggio
negli USA, la condanna degli abusi pedofili nel clero ha riscosso un
grande e unanime consenso a motivo della coraggiosa chiarezza con
la quale il Pontefice ha affrontato la questione. La riflessione che
segue, proposta da p. Felice Scalia s.j., riprende l’argomento sviluppandolo
attorno a due ordini di problematiche. Anzitutto, pone la
questione generale se la pedofilia debba essere intesa solo come
una perversione di persone malate, oppure possa essere vista anche
come la manifestazione estrema di un atteggiamento diffuso in una
società che idolatra dominio e potere. In secondo luogo, e più nello
specifico, p. Scalia si interroga su quali atteggiamenti siano evangelicamente
validi con chi tradisce il suo sacerdozio, la fiducia dei bambini
e il compito affidatogli da Dio tramite la Chiesa.