Tempi difficili, questi, per la speranza. Il futuro tende ad apparire più come una minaccia che come un orizzonte promettente. Sarà la caduta delle ideologie, sarà il declino del nostro Paese e dell’Europa, sarà l’autocentratura post-moderna delle identità senza una causa che sappia mobilitare passioni, dedizione, intelligenza: purtroppo la rassegnazione al piccolo cabotaggio, se non addirittura la paura, costituiscono atteggiamenti sempre più diffusi nella nostra società, in particolare tra le giovani generazioni. È su questo sfondo culturale che mons. Giacomo Canobbio (docente di Teologia sistematica alla Facoltà teologica di Milano e al Seminario di Brescia) propone una riflessione di grande spessore, anche esistenziale, su come vivere, ripensare e attestare la speranza cristiana oggi. L’Autore sviluppa il discorso a partire dall’angolatura tematica del Convegno ecclesiale del 2006 su «Testimoni di Cristo risorto, speranza del mondo» (ne è appena uscita la traccia preparatoria, di cui l’articolo non ha potuto tener conto essendo stato scritto precedentemente). L’argomento del Convegno suona molto pertinente nell’attuale congiuntura culturale: «L’annuncio di una speranza trascendente si propone come antidoto non solo alla delusione, ma pure alla rinuncia a cercare ragioni ulteriori per l’esistenza umana, una volta constatato che sono cadute quelle che sembravano plausibili».
Padre Silvano Maggiani (presidente dell’Associazione Professori di liturgia e preside della Pontificia Facoltà teologica Marianum) illustra in questo articolo le linee essenziali del rito del matrimonio adattato, entrato in vigore alla fine del 2004. Esito di un lavoro lungo e complesso, il rito attualmente a disposizione della Chiesa italiana mostra significativi arricchimenti celebrativi, che l’Autore ha cura di evidenziare. Particolare rilievo viene dato alla necessità che nella celebrazione del matrimonio risalti il «mistero grande» del rapporto sponsale tra Cristo e la Chiesa: infatti, «il pericolo di incentrarsi unicamente sugli sposi, come se fossero essi l’oggetto della celebrazione, è sempre presente». Va inoltre attentamente considerata, per la sempre più frequente problematicità dell’esperienza di fede degli sposi, l’opzione del rito non all’interno dell’Eucaristia ma della celebrazione della Parola, modalità che insieme rispetta l’identità sacramentale e la reale situazione dei nubendi.
La Rivista è già intervenuta a margine del quarantesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II con gli articoli di Gilles Routhier e Giacomo Martina, rispettivamente sui numeri di febbraio e marzo. Pubblichiamo qui la relazione che Andrea Riccardi, docente di Storia contemporanea all’Università di Roma Tre, ha tenuto in occasione del Convegno su «Politica, religione e società: un bilancio del nuovo Concordato» (Università Cattolica, Milano 10-11 marzo 2005). L’Autore dà conto, con ricchezza di riferimenti, del cammino postconciliare per corso dalla Chiesa italiana sino alla metà degli anni Ottanta. In questo quadro emerge anzitutto il grande sforzo riformatore di Paolo VI volto a fare i conti con la modernità additando l’istanza missionaria dell’evangelizzazione come risposta della Chiesa alle sue sfide. Una Chiesa molto variegata, anche geograficamente, caratterizzata da una religiosità popolare forte e silenziosa che non sempre viene adeguatamente evidenziata dalla storiografia. Insieme, Riccardi sottolinea come Giovanni Paolo II, fin dai primi anni del suo pontificato, abbia esortato il cattolicesimo italiano a una maggior consapevolezza e ‘autostima’ per la sua missione nel Paese, proponendo con forza un disegno che trovò compiuta espressione nel Convegno di Loreto.
Padre Nicola Albanesi, rettore del Collegio Alberoni di Piacenza, sollecita l’attenzione dei lettori su un tema di essenziale importanza nella vita del presbitero: il suo rapporto con l’Eucaristia, e precisamente sotto il profilo della formazione. L’Autore sviluppa la questione anzitutto in chiave storica, illustrando sinteticamente la concezione tridentina del sacerdote come ‘uomo del culto’, per poi mostrare come il Concilio Vaticano II abbia sottolineato la destinazione ecclesiale del prete e quindi la presidenza come cifra sintetica della sua relazione con l’Eucaristia. L’articolo si chiude con alcune pagine molto efficaci e suggestive che incoraggiano a coltivare la qualità del suo modo di celebrare l’Eucaristia, che dev’essere profondamente permeato da una fede viva: il compito del sacerdote è «di rappresentare la comunità e allo stesso tempo di ispirarla e condurla alle soglie del mistero».
La Bibbia ha plasmato, nelle culture che di essa si sono nutrite, un senso dei tempi e dei ritmi della vita oggi purtroppo smarrito a causa delle rapide trasformazioni sociali, che certo hanno toccato anche la comunità cristiana. Lo studio di Donatella Scaiola, biblista e docente presso la Pontificia Università Urbaniana, interroga la Scrittura proprio sul senso della festa che Israele prima, e la comunità cristiana poi, hanno saputo elaborare per ritmare e nutrire la vita. Tempo ‘comandato’, diverso, gratuito; fondato teologicamente, indispensabile all’edificazione della comunità, ma aperto all’escatologia. Caratteri che si pongono in tensione con gli attuali stili della festa e che danno a pensare, invitando a ricercare un ‘di più di senso’ ancor oggi realizzabile e, soprattutto, necessario per la concreta vita nella fede.