Il continuo assottigliarsi del numero dei preti diocesani alimenta da anni il ricorso al sostegno, per la pastorale parrocchiale, di preti che vengono da paesi stranieri. Il fenomeno, molto diffuso in alcuni paesi del nord Europa, sta assumendo proporzioni ragguardevoli anche in alcune diocesi italiane, meritando così un’attenta riflessione. Lo studio di Arnaud Join-Lambert, docente di Teologia pastorale presso l’Università Cattolica di Lovanio, si propone come buon punto di riferimento sul tema. Il contributo rilegge l’ormai consolidata esperienza delle Chiese europee, soprattutto di area francofona. L’Autore sostiene la necessità di un approccio sistemico al problema, da leggere necessariamente nel contesto del declino del cristianesimo occidentale, per evitare che l’immissione di forze pastorali ‘alloctone’ finisca per assecondare un atteggiamento di pigro mantenimento dello status quo ecclesiale. Questo significherebbe rimandare il confronto con gli ormai inevitabili quesiti ecclesiologici che la contemporaneità impone di prendere sul serio. «Il numero di questi preti – afferma Join Lambert – e la prospettiva di una loro percentuale ancora crescente nel clero rischia comunque d’impedire una riflessione fondamentale sulla missione ecclesiale nell’Occidente secolarizzato. Tale rifl ssione deve essere condotta insieme a loro. […] A essi e a tutti i battezzati è proposta la sfida di affrontare le questioni brucianti che emergono dalla nostra epoca di transizione».
Don Augusto Bonora, prete milanese, accoglie le provocazioni offerte da alcuni recenti interventi che hanno rimesso in moto la riflessione sulla parrocchia, fra le quali spicca l’Istruzione della Congregazione del clero intitolata La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione della Chiesa (20.07.2020). A partire da questo importante documento l’Autore intende offrire il suo contributo di parroco ‘di periferia’. L’intervento si struttura anzitutto in un confronto con la ‘liquidità’ moderna e il pensiero di Z. Bauman, che nella sua assunzione forfettaria di pensiero alla moda forse non è ancora stato realmente esplorato nelle sue più interessanti ricadute pastorali. Don Bonora suggerisce che «solo a fronte di un’assunzione seria della modernità potremo ridefinire anche il nostro modo di essere comunità cristiane, nel tempo presente e nei nostri territori» e che, volenti o nolenti, con questa liquidità del moderno dobbiamo fare seriamente i conti. Da parte ecclesiale occorrerà poi «lasciare spazio a una pluralità tipologica e controllata […] di risposte comunitarie. È in questo percorso di apertura allo Spirito e sequela di Cristo, di pluralità e sperimentazione, che si potrà procedere gradualmente prima all’identificazione di buone pratiche e in seguito alla creazione di modelli replicabili, capaci di coniugare elementi di solidità e liquidità, di incrementare aspetti di sicurezza nella libertà, senza per questo degradare in un’ottica settaria».
Il 22 marzo è iniziato il mese di Ramadan, quest’anno in parziale coincidenza con il tempo quaresimale. La concomitanza offre l’occasione per proporre la preziosa e intensa testimonianza di fr. Sthéphane Delavelle OFM, offerta lo scorso 13 febbraio presso l’Istituto Ecumenico di teologia Al-Mowafaqa (Rabat) ai giovani preti della Diocesi di Milano, in pellegrinaggio in Marocco. Abitando da anni il Maghreb, la riflessione di fr. Stéphane si nutre di un’intensa esperienza di dialogo interreligioso, coltivato in anni di crescita lenta e paziente. Un cammino così lungo porta alla consapevolezza che un tale dialogo può essere compreso in profondità solo come «percorso spirituale, vale a dire un cammino di conversione a Dio» vissuto a stretto contatto con uomini di fede musulmana, poiché: «solo l’irruzione dell’altro nel suo mistero può aprire una breccia in noi e fare in modo che cominciamo a lasciarci sorprendere. E questo può venire solo da un incontro. […] Vi è dunque nell’incontro tutta una tappa di traduzione delle nostre credenze differenti attraverso l’esperienza vitale che esse esprimono, cammino che può farsi solo se noi accettiamo di riconoscere ogni giorno di più che non comprendiamo niente dell’altro, che egli resta e resterà un mistero».
Lo studio di don Franco Manzi, biblista e docente presso la Facoltà teologica di Milano, mette a tema una componente apparentemente enigmatica dell’azione evangelizzatrice di Gesù. Si tratta dei suoi esorcismi. Il tema viene esplorato anzitutto a livello fenomenologico e storico, per poi essere letto attraverso l’approfondimento di un episodio particolare, l’esorcismo della figlia della donna sirofenicia, attestato da Marco (7,24-30). L’analisi dei riferimenti sinottici permette di accedere all’interrogativo teologico sul valore rivelativo di tale prassi, che ha poi avuto un seguito nell’azione della Chiesa primitiva, fino a noi. Il saggio conclude sul significato dell’esorcismo come pratica ecclesiale: «Ciò che sorregge in questo faticoso ministero è la fiduciosa consapevolezza di essere aiutati dallo Spirito santo e di diventare così strumenti attraverso cui Cristo stesso prosegue la sua lotta contro il mondo diabolico».
Carlo Fantappiè è professore ordinario di Diritto canonico all’Università di Roma Tre. Marco Ronconi, nostro membro di redazione, lo ha intervistato per la rubrica «Senti chi parla» alla Pontificia Università Gregoriana di Roma dove è professore invitato, come anche presso l’École des Hautes Études di Parigi. Nel 2020 ha aperto sulla rivista spagnola «Ius Canonicum» una discussione ad alto livello sui rapporti fra diritto canonico e teologia. Ha da poco pubblicato Metamorfosi della sinodalità. Dal Vaticano II a papa Francesco (Marcianum press, febbraio 2023), dove, nell’ottica di una collaborazione critica fra le due discipline, cerca di precisare cosa si debba intendere oggi per sinodalità, quali siano le questioni in gioco e soprattutto i limiti e gli equivoci in cui stiamo rischiando di cadere.
Il mondo della vita religiosa femminile si trova a vivere una stagione di profonda ridefinizione, dovuta sia al vistoso calo numerico, sia alla fatica con cui la stessa vita religiosa femminile cerca di trovare un nuovo posto nella Chiesa, e forse anche un nuovo stile. Il crescente venir meno della religione nella vita pastorale non sembra suscitare lo stesso allarme del calo delle vocazioni sacerdotali, per quanto il vuoto che esse lasciano non sia meno incolmabile. La nota giornalista e scrittrice Ritanna Armeni, in questa nota per la rubrica «Terza pagina», racconta il mondo delle suore da lei incontrato per documentarsi in vista del suo ultimo romanzo Il secondo piano: «una storia di ebrei, di suore, di coraggio e di carità». Ne è nato uno sguardo inconsueto, riproposto in questo contributo che riflette una testimonianza nuova e interessante sulle ‘suore’, che viene da una prospettiva esterna al mondo cattolico, una lezione dal passato che getta una luce nuova anche su molti pregiudizi del presente: «Le suore mi hanno obbligato a cambiare linguaggio e quindi, almeno in parte, la testa, a comprendere al di là di quello che conoscevo già, a immergermi in un mondo cui tanti avevano riservato solo sguardi frettolosi».