Suona davvero profetico, a oltre trent’anni di distanza, il discorso di saluto che il card. Martini tenne al Convegno diocesano milanese rivolgendosi ai partecipanti della IX Giornata della solidarietà, il 13 gennaio 1990. In quegli anni il fenomeno migratorio cominciava ad assumere proporzioni significative e ad essere regolamentato nel nostro ordinamento giuridico. Il card. Martini ne colse subito la rilevanza non solo politica e civile, ma anche religiosa, proponendo una interpretazione illuminante di questa contingenza storica. Colpisce il reiterato appello a una lettura ‘esperta’ del fenomeno, ma soprattutto il discernimento credente che intuisce nella prospettiva di una società multietnica «una grande occasione etica e civile»: «Come cristiano - insiste Martini - dico anzi una grande occasione storico-salvifi ca. Quindi, come è stato ricordato, una possibilità di un salto di qualità nella convivenza europea, un appello etico formidabile per un rinnovamento della nostra mentalità, del nostro modo di essere». Un modo, potremmo aggiungere, di riattualizzare veramente le radici cristiane dell’Europa, ben lontano, se non opposto, alla retorica religiosa dei populismi nazionalistici. Non sfuggirà come queste parole siano in profonda sintonia con quelle recentemente pronunciate da papa Francesco a Marsiglia, per le quali la sfi da migratoria deve essere affrontata senza irenismi ma in limpida obbedienza al dettato evangelico.
La Chiesa cattolica ha conosciuto molte crisi nel corso della sua storia. Ma la ‘novità’ della scossa attuale, secondo la professoressa Marie-Jo Thiel, teologa francese, medico, docente all’Università di Strasburgo e membro della Pontificia Accademia per la Vita, dipende soprattutto dal fatto che le sue cause provengono in primo luogo dall’interno della struttura ecclesiale stessa, recentemente sconvolta in particolare da due eventi intrusivi e mutageni: la pandemia di Covid-19 e lo scandalo degli abusi. Questi due ‘sismi’ hanno suscitato – accanto a una perdita di sicurezza dell’autorità di alcuni quadri gerarchici della Chiesa – un evento di liberazione della parola dei laici e una loro presa di coscienza riguardo la loro dignità battesimale di «sacerdoti, profeti e re». L’autrice legge in questa nuova vitalità laicale, radicata nel concilio Vaticano II, una opportunità e una benedizione per la Chiesa, almeno nella misura in cui gli episcopati sapranno riconoscerla e appoggiarvisi. È questa infatti la condizione per far sì che «il chronos della crisi diventi finalmente un kairos nutrito da una ermeneutica biblica di tipo nuovo che apre la via a un lavoro sinodale autentico perché il popolo di Dio avrà riscoperto la sua natura sinodale profonda».
Prosegue, e qui si conclude, la pubblicazione dell’importante saggio che S.E. Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara, presidente della Commissione Episcopale per la Dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi della CEI e noto teologo, ha dedicato al senso spirituale ed ecclesiologico del discernimento pratico. Questa seconda parte della riflessione è centrata sulla proposta di cinque ‘linee di forza’ che facciano da centro propulsore a quella conversione spirituale e riforma ecclesiale proposte dalle linee guida del cammino sinodale. Uno sforzo immaginativo su cui concentrare il rinnovamento personale, la riforma ecclesiale e il nuovo stile di presenza al mondo: «Per non essere ingenui e poi delusi, è necessaria una vasta opera corale, appunto “sinodale” che, con i doni e le responsabilità di ciascuno, trovi strade creative per il Vangelo e la Chiesa e sfidi i nostri fratelli a incontrarci sul terreno del futuro dell’umanità nella casa comune».
Don Giampaolo Ferri, docente di Teologia Pastorale presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose «S. Francesco» di Mantova, ma anzitutto, con altri due presbiteri, parroco di nove comunità della bassa mantovana, propone qui una sofferta e accorata condivisione della sua esperienza pastorale. L’intento non è offrire riflessioni illuminate o tracciare sentieri risolutivi, quanto dare voce a domande e vissuti che la pratica ministeriale nelle condizioni odierne propone in forma ineludibile e talvolta esistenzialmente lacerante. Le sue parole descrivono il disagio del vivere in una condizione di forte cambiamento, nel quale le forme del cattolicesimo tradizionale sono ormai scomparse ma si vive ancora nell’inerzia della ‘civiltà parrocchiale’. Tuttavia, afferma l’autore: «seguirà, ne siamo certi, a brevissimo, anche la fine di un certo modello di prete e di parroco. Nasceranno modelli, preti e parrocchie più adatti al mondo di domani. […] Forse anche a noi oggi, preti e parroci della fine della società parrocchiale, è chiesto solo di “acquistare un campo”, perché qualcun altro, un giorno possa piantare di nuovo campi e vigne (Ger 31,15)».
Il corrente ottobre, segnato dallo svolgimento della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, propone il contesto migliore per apprezzare l’originale e autorevole intervento del card. Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei Santi, sulla fi gura del card. Anastasio Ballestrero. Lo studio si focalizza sul suo discorso di commiato a conclusione del secondo Convegno della Chiesa Italiana (Loreto, 13 aprile 1985) dove l’autore rinviene tre temi che mostrano come l’idea di sinodalità, pur lì non nominata direttamente, fosse già ben presente nello sforzo di leggere la realtà ecclesiale alla luce del Vaticano secondo. «Con-venire», un’ecclesiologia ispirata alla Chiesa «popolo di Dio», «stile»: sono i tre marcatori linguistici e teologici, in reciproco rimando, che l’allora presidente della CEI impiegò per descrivere la dimensione essenziale della Chiesa. Riprendere oggi quel discorso non significa solo fare memoria del pensiero di uno dei protagonisti della recente storia della Chiesa italiana, ma confrontarsi con una visione ecclesiologica che forse trova solo ora la possibilità di essere adeguatamente valorizzata.
Amicizia Sociale: incontrarsi nel giardino, questo è il titolo del Padiglione curato dal Vaticano alla Diciottesima Mostra Internazionale di Architettura La Biennale di Venezia, ospitato presso l’abbazia benedettina di san Giorgio. Secondo le intenzioni del Curatore, l’architetto Roberto Cremascoli, i visitatori che ne fruiranno saranno invitati «a prendersi cura del pianeta come ci prendiamo cura di noi stessi e a celebrare la cultura dell’incontro». Direttamente ispirate alla visione sociale ed ecologica espressa da papa Francesco nelle sue Lettere Encicliche Laudato si’ (2015) e Fratelli tutti (2020), le scelte di progettazione «costituiscono una delicata profezia di riconciliazione». Per la rubrica Terzapagina, don Sergio Massironi, teologo del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, offre qui un’ampia presentazione dell’evento, sottolineando come interpreti un’«idea di cultura nel segno dell’amicizia sociale […] agli antipodi dei “progetti culturali” da cui il cattolicesimo è stato e in parte rimane tentato».