È un articolo di grande respiro quello che don Gianni Colzani, docente di Teologia della missione alla Pontificia Università Urbaniana di Roma, qui ci propone. I testi conciliari sulla missione vengono considerati sullo sfondo della dinamica storica della decolonializzazione e del venir meno del legame tra missioni e colonialismo nella prospettiva dell’autonomia delle giovani Chiese. Il Concilio, alla luce della sua rinnovata consapevolezza ecclesiologica, «abbandona un modello di espansione della cristianità» per assumere quello evangelico della testimonianza. In coerenza con tale cambiamento si delinea il nuovo volto della missione come cooperazione tra le Chiese nella comune responsabilità verso l’annuncio del Vangelo. La seconda parte del contributo è dedicata allo sviluppo del modo di intendere la missione nel postconcilio, con riferimento alla ‘missio Dei’ e al rapporto intrinseco tra Chiesa e Regno quale orizzonte dell’azione evangelizzatrice della comunità cristiana.
Dopo l’intervento di don Giuliano Zanchi sul fascicolo 12/2006 (pp. 810-821) ospitiamo la riflessione di don Enrico D’Ambrosio, parroco di San Felice al Lago (Bg), dedicata al rapporto tra arte e pastorale liturgica. La relazione tra Chiesa e arte, molto proficua fino al XVIII secolo, è andata progressivamente peggiorando, sino a configurarsi oggi in modo assai problematico. In generale, l’arte si è ‘emancipata’ dal riferimento religioso e molto ha perso in epoca contemporanea della sua capacità di dire l’umano attraverso il simbolo. D’altra parte, in ambito cattolico l’interesse teologico-estetico si è molto indebolito, come testimoniano sia la non di rado modesta qualità artistica delle nuove chiese sia i modi del celebrare che fanno fatica a dare bellezza alla liturgia. L’autore auspica una ripresa dell’insegnamento conciliare perché, anche tramite un’opportuna attività formativa, si intraprendano strade nuove di incontro tra Chiesa, liturgia ed arte.
Lo studio che qui presentiamo mostra la profonda verità dell’antico adagio biblico, che da sempre collega la promessa di una vita feconda per l’amore dell’uomo e della donna con la separazione dalla famiglia d’origine. Gli autori, consulenti formatori e docenti presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, nonché conoscitori delle dinamiche legate alla vita celibataria, sottolineano tuttavia come tale verità vale anche per ogni sacerdote o consacrato che voglia essere spiritualmente e pastoralmente fecondo. L’articolo si dipana presentando con ricchezza di esemplificazioni i delicati intrecci generazionali dalla cui bontà dipende l’evoluzione di ogni individuo all’identità adulta e quindi alla fecondità relazionale. Queste pagine non si presentano quindi solo quale valido ausilio formativo per fidanzati, ma anche come occasione di riflessione su dinamiche che interpellano il modo col quale ciascuno interpreta l’essere figlio e/o padre e madre (nella carne e nello spirito).
Mons. Mauro Cozzoli, ordinario di Teologia morale alla Pontifica Università Lateranense, tocca in queste pagine un argomento oggi assai dibattuto: quello dei confini della vita, al suo inizio e alla sua fine, della loro tangibilità nell’epoca dello strapotere della razionalità tecnica e della loro indisponibilità nella prospettiva religiosa. In quest’ambito, sottolinea l’Autore, va mostrato in modo privilegiato l’intrinseco rapporto tra religione e ragione.
Don Franco Manzi, docente di Sacra Scrittura al seminario di Venegono (Mi), offre in questo articolo uno sguardo di sintesi su come, nel Nuovo Testamento, venga declinato l’impegno del cristiano nella società e nella politica a partire dal comandamento dell’amore. Esso chiede di non omologare la prassi dei discepoli a quella dei figli di questo mondo. Insieme, l’Autore sottolinea in positivo tre livelli di realizzazione dell’agape evangelica: quello personale, il rapporto ‘breve’ con gli altri e la relazione mediata dalle istituzioni.