Presenza e servizio pastorale dei sacerdoti stranieri in Italia
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Qualche parola per introdurre un testo il cui stile risulterà differente dagli articoli che abitualmente compongono i numeri della Rivista. In effetti, lo stile di questo scritto non è quello dell’articolo, ma piuttosto quello della comunicazione. Così originariamente è stato pensato: si tratta di una comunicazione che mons. Luigi Bressan, arcivescovo
di Trento e presidente uscente della Commissione episcopale per l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese, ha presentato all’assemblea generale della CEI dello scorso mese di maggio, come bilancio del lavoro svolto e consegna di un’urgenza
alla commissione che gli sarebbe succeduta. Pubblichiamo volentieri questa comunicazione, con lo stile che le è proprio, perché ha il pregio di porre alla nostra attenzione un fenomeno che la quotidianità delle nostre Chiese locali conosce ormai da diversi anni, ma che invece fatica a trovare il rilievo che meriterebbe, all’interno del
dibattito ecclesiale nazionale. Il fenomeno è presto detto: la presenza e l’azione di preti stranieri nelle nostre diocesi; presenza che conosce una distribuzione asimmetrica all’interno del territorio ecclesiale nazionale (molto diffusa nelle Chiese del Centro Italia, presente con minore intensità nelle altre zone). I discorsi che accompagnano
questa presenza sono ampiamente al di sotto delle sfide che essa comporta. Sono ancora tesi tra gli estremi in opposizione (accoglienza entusiasta da un lato, come se si fosse di fronte a una ventata di spirito missionario, che ha tuttavia invertito la direzione; irrigidimento e paura acritica dall’altro, quasi questa presenza costituisse una minaccia alla specificità del volto italiano della nostre Chiese) e faticano a leggere il fenomeno per quello che realmente esprime: la declinazione in ambito ecclesiale di un mescolamento della popolazione che è in atto in modo irreversibile. Irreversibile non è sinonimo di non guidato e non monitorato. Ecco quindi il significato di questa comunicazione: intende costruire lo spazio, delimitandone gli estremi, di un giusto dibattito che la Chiesa italiana è chiamata ad istruire su questo fenomeno. Per leggerne i rischi e le potenzialità (senza la presenza di questi preti più di una nostra diocesi si troverebbe a vivere situazioni che spesso descriviamo – un po’ intimoriti – come caratteristiche delle Chiese del Nord Europa); per aiutare a costruire un discernimento che sia il più possibile spirituale e cristiano. La Redazione della Rivista si impegna a contribuire al dibattito, facendo seguire alla pubblicazione di questa comunicazione
altri articoli di approfondimento.
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