«Fino a quando sopporterò?». Il nostro tempo tra indignazione e tolleranza
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Questi ultimi anni segnati dalla crisi economica hanno acuito diseguaglianza
e sofferenza sociale. Sempre più numerose sono le manifestazioni
di denuncia, anche violenta, che affermano come insopportabile
il livello d’ingiustizia oggi raggiunto. Anche il magistero sociale della
Chiesa, a partire dal Vaticano II e fino a Benedetto XVI, ha espresso
pesanti parole d’accusa al mondo dell’economia, nel tentativo di
arginare una visione troppo debole del legame sociale, che conduce
all’insopportabile negazione dei diritti fondamentali di molti. Nel
suo appassionato studio Bruno Bignami, sacerdote diocesano di
Cremona e docente di Teologia morale presso lo Studio Teologico
Interdiocesano e l’ISSR di Crema-Cremona-Lodi-Vigevano, trova nel
Magistero e nella riflessione teologica recente i criteri per sviluppare
una riflessione sulla tolleranza quale criterio di azione capace di
spingere oltre la mera denuncia dell’intollerabile, che arriva a tutelare
solo un ‘livello minimo’ di dignità. «Il minimo rappresenta la soglia di
umanità sotto la quale non è possibile andare e il massimo valorizza la
coscienza dell’altro capace di interpellare. Tra i due livelli c’è comunicazione.
Il rifiuto dell’intollerabile, infatti, chiede tolleranza: non si può
denunciare ingiustizie usando violenza e col proposito di eliminare
l’altro. E la tolleranza non può far dimenticare che esistono situazioni
inaccettabili, per le quali è necessario spendersi e fare tutto il possibile
per ristabilire la dignità umana. Per questo, l’indignazione non basta.
Ha il merito di mostrare l’inaccettabile, ma ha bisogno di trasformarsi
in impegno per il bene. La tolleranza esprime proprio la decisione di
caricarsi sulle spalle la responsabilità di costruire relazioni buone».
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