Ospitiamo, in queste pagine, una sezione monografica dedicata ai cambiamenti in atto nella figura del prete in Italia. Lo spunto per la riflessione è offerto dall’articolo di Luca Diotallevi (docente di Sociologia all’Università di RomaTre), che prende le mosse da una recente ricerca empirica sui sacerdoti diocesani in Italia, per tracciare alcuni scenari che si potrebbero verificare da qui a vent’anni. Certe tendenze sono risapute (invecchiamento e diminuzione quantitativa, ad esempio), altre sono meno note (gli esiti ‘organizzativi’ di tale diminuzione, i cambiamenti di cultura e mentalità). Un dato è sicuro: tra vent’anni la situazione sarà molto diversa rispetto a quella odierna. Gli anni a venire saranno occasione preziosa per affrontare le difficoltà delle mutazioni in fieri, senza dover operare «con l’acqua alla gola, sotto la pressione di tempi stretti e di necessità drammaticamente stringenti». In particolare, l’autore sottolinea l’urgenza di politiche vocazionali e formative attive. Il ricorso massiccio a clero straniero, con cui si cerca di rimediare al problema in alcune regioni d’Italia, comporta infatti seri problemi. Si pone insomma una seria questione progettuale, da affrontare con fiducia, intelligenza e slancio: ne va del futuro della nostra Chiesa.
Non è semplice articolare una riflessione a partire dalla domanda del titolo. Mons. Tullio Citrini (Rettore del Pontificio Seminario Lombardo a Roma) ha accettato la sfida sviluppando un approccio di grande onestà intellettuale, che non sfugge all’indubbia complessità del tema (si veda la prima parte dell’intervento) e insieme offre alcune linee di orientamento. L’articolo propone l’unificazione dell’agire del prete attorno al primato del ministero, a propria volta radicato nel «sicuro primato del vissuto personale del prete stesso, inteso nel senso per cui nessun interesse di ministero è maggiore della carità, nessun orientamento specifico dell’intenzione è maggiore di quello verso Dio». Questa considerazione portante, insieme teologica e spirituale, viene poi esplicitata da sapide osservazioni che aiutano a immaginare, sul piano più esperienziale, in che cosa può consistere una buona gerarchizzazione dei diversi compiti a cui un prete oggi deve attendere.
Brevi, ma significative, le riflessioni riportate qui di seguito. Ne sono autori tre sacerdoti (Sergio Baravalle, rettore del Seminario Maggiore di Torino; Franco Brovelli, vicario episcopale per la formazione del clero a Milano; Angelo Passaro, rettore del seminario di Piazza Armerina) che, nelle rispettive diocesi di appartenenza, si occupano da anni di formazione del clero. Dà certo a pensare come coincidano, nonostante i diversi contesti geografici (e i toni più o meno allarmati), molti rilievi sulle tendenze in atto, segnate da nuove istanze e qualche inedita fragilità. Di entrambe è bene essere consapevoli. Occorre ascoltarle con pazienza per valutare gli opportuni contrappesi formativi e soprattutto assicurare quelle condizioni che permettano il buon dispiegarsi delle potenzialità delle nuove generazioni.
La categoria di ‘salvezza’, nel cristianesimo come in tutte le religioni, esprime il legame profondo, esistenziale, che il credente ricerca e intrattiene con il nucleo della propria fede. Negli ultimi decenni questo vocabolo così centrale ha assunto nuove sfumature che non lo legano più principalmente, come in passato, al futuro post mortem. Lo studio del gesuita Antonio Spadaro (padre scrittore della «Civiltà Cattolica») descrive la sensibilità contemporanea sul tema, offrendo un utile strumento di aggiornamento per la predicazione che trova, nel riferimento alla salvezza, un imprescindibile strumento per l’annuncio del vangelo. Se essa non può essere compresa che nel quadro delle attese umane e della dimensione di finitezza che egli sperimenta, sta all’avvertita sapienza della pastorale ricondurre questo punto di partenza alla novità della salvezza cristiana.
Quando diamo risalto a esperienze pastorali, non abbiamo l’intenzione di additarne l’esemplarità, ma di proporre stimoli di riflessione a partire dal concreto delle situazioni. Soprattutto per mostrare che le grandi istanze possono avere una significativa traduzione pratica. È quanto emerge dalla lettura di questo articolo di don Pierantonio Tremolada (docente di Sacra Scrittura alla Facoltà teologica di Milano e al Seminario di Venegono). L’Autore ha ideato e animato, nella diocesi di Milano, gli itinerari di lettura biblica, esperienza di accostamento diretto e guidato alla Scrittura in atto con successo da diversi anni. Il testo riconduce rigorosamente le caratteristiche che contraddistinguono gli Itinerari ad alcuni principi teologici di fondo, che ultimamente si radicano nella Dei Verbum. È anche attraverso meritorie iniziative come questa che la Bibbia sempre più va diventando patrimonio di tutto il popolo di Dio.
Lo scorso maggio la CEI ha proposto un documento – Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia – meritevole di essere approfondito nei suoi diversi aspetti. Don Sergio Nicolli, direttore dell’Ufficio CEI per la pastorale della famiglia, si propone qui di raccoglierne alcuni stimoli, ripensando la categoria di sponsalità in rapporto al volto missionario della Chiesa locale. È di grande interesse l’impostazione di fondo che, evitando il rischio del facile richiamo all’impegno, legge il compito missionario della famiglia a partire dal suo essere internamente relazione di agape e quindi rimando al Dio trinitario. L’analisi si sofferma poi su alcuni compiti pastorali strategici, che dovrebbero essere affidati con più coraggio a laici preparati: si tratta di un’apertura di credito motivata soprattutto dall’opportunità che la famiglia eserciti quella parte del compito di evangelizzazione che le spetta.